Meno ospedali e più ambulatori: cambia la sanità lombarda

Presentate le linee guida delineate dall'assessore regionale Mantovani. L'attuale sistema sarà innovato con una maggiore attenzione alla cronicità e a percorsi di presa in carico

MantovaniDopo 15 anni di “legge 31”, la Regione Lombardia ha deciso di cambiare passo per la sanità. Dopo le anticipazioni e le posizioni anticipate da singoli consiglieri nei giorni scorsi ( Presidente di Commissione Rizzi e il capogruppo del PD Alfieri) , oggi è stata presentata alla Consulta della Sanità la relazione che porta la firma dell’assessore Mantovani e del governatore Maroni, scritta dai due dirigenti Bergamaschi e Daverio della Sanità e della Famiglia e Solidarietà sociale. 

 
Si è partiti dalla fotografia dell’attuale situazione: 29 aziende ospedaliere e 5 IRCCS per 37.000 posti letto suddivisi in 99 presidi, oltre a 80 case di cura private e 20 IRCCS privati a contratto, con un indice di posti letto di 3,8 ogni mille abitanti, di cui un quinto della degenza legata ai piccoli ospedali. Attualmente, il 70% della spesa sanitaria è destinata a circa il 30% della popolazione legata soprattutto alla cronicità. Circa 3 milioni i lombardi, dunque,  assorbono la gran parte della spesa e di questi il 10% è affetto da disabilità. 
 
Con un’organizzazione molto incentrata sugli ospedali, la scommessa futura non potrà far altro che differenziare sempre più l’assistenza specialistica e le cure croniche. Da qui la richiesta di spostare maggiormente l’asse verso il regime ambulatoriale, invertendo l’attuale trend che vede il 90% delle prestazioni ospedaliere e solo il 10% quelle ambulatoriali.
Una risposta potrà venire dai CREG che sono forme consortili di assistenza del paziente cronico da parte di medici del territorio che si prendono in carico il percorso di cura. Attualmente la sperimentazione sul territorio non sta dando i risultati sperati ma, la spiegazione che viene data, è che il modello è ancora poco conosciuto: lo spazio dove vengono erogate queste cure non esiste per cui è difficile capirne il meccanismo. Il grande dibattito, dunque, si concentrerà sulla trasformazione degli attuali piccoli ospedali in nuovi modelli di assistenza cronica di tipo ambulatoriale.  
Attualmente, il modello lombardo è molto frammentato e tale ridondanza di offerta porta inevitabilmente a una dispersione in campo specialistico e diagnostico con un esborso di denaro non più giustificabile. La richiesta elevata di assistenza legata alla cronicità, inoltre, provoca un livello di saturazione troppo basso nelle funzioni specialistiche. 
 
Il futuro, quindi, dovrà poter contare su una rete ospedaliera nuova dove le alte specialità siano mantenute solo laddove assicurino una quantità di richiesta adeguata, tale da giustificare livelli di eccellenza ( più prestazioni portano a migliore esperienza e qualità) e dove ci siano sul territorio situazioni di assistenza e presa in carico della cronicità. Così si potrebbe avere un modello di hub e spoke con un presidio di riferimento per un territorio omogeneo, ospedali di rete con vocazione per acuti e presidi ospedalieri/ambulatoriali legati alla cronicità. Integrano l’offerta, i centri di riferimento sovraterritoriali di eccellenza di terzo livello differenziati per patologie,  recettori ultimi di una rete costituita ad hoc con percorsi assistenziali differenti.
 
Così facendo, il modello gestionale futuro dell’ospedale dovrà puntare alla presa in carico e non alla prestazione, i presidi ospedalieri territoriali dovrebbero fornire un primo intervento con ambulatori di primo livello, gestione dei Creg , delle cure sub acute e riabilitative, della chirurgia ambulatoriale o diurna, dell’assistenza ambulatoriale dei pazienti oncologici d’intesa con i servizi ADI. In questo modo, l’offerta sanitaria e socio sanitaria andrebbe uniformata anche grazie a una rotazione maggiore del personale medico tra polo ospedaliero e territoriale.

In questo nuovo modello, le Asl vedranno ridursi le proprie competenze: manterranno le funzioni di amministrazione e controllo ma perderanno il compito di erogare e contrattare le prestazioni. Così facendo, sarà possibile accorpare le aziende in macro aree.

Un modello nuovo, che sulla carta appare vincente e condivisibile. Fintanto che non verrà declinato a livello locale con le delicate scelte che ne conseguiranno sulla trasformazione dell’odierna architettura sanitaria.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 26 Settembre 2013
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