È di Cuvio l’ultimo imperatore del rame

Da oltre 50 anni Francesco Sonvico fa il cesellatore e lo stagnino, oggi è l'unico in tutta la provincia a fare questo lavoro. I suoi clienti arrivano soprattutto dalla Svizzera, la migliore pubblicità è il passaparola

«Guardi qui che bellezza». Quando Francesco Sonvico apre la stanza adiacente al suo laboratorio, la luce riflessa della montagna di pentole e piatti in rame riempie gli occhi con la stessa intensità di un tesoro antico. E forse lo è, visto il prezzo che ha raggiunto la materia prima nel giro di dieci anni, passando da 1.500 lire al chilo (circa 76 centesimi di euro) alla fine degli anni Novanta, ai 9 euro più iva di oggi.
Sonvico ha 74 anni ed è l’ultimo cesellatore della provincia di Varese. Anzi, ad essere precisi è l’ultimo cesellatore-magnano, perché da quando nessuno lavora più il rame si è dovuto adattare a fare lo stagnino, il riparatore e qualche volta anche il fabbro.
La sua avventura inizia a 23 anni appena terminato il servizio militare. Francesco non ha studiato arte, ha preso solo qualche lezione di disegno dal professor Talamona, ma la consapevolezza sulla capacità delle sue mani di imprimere virtù e bellezza nella materia arriva solo quando entra nella bottega varesina dei Borghi, famiglia di cesellatori di rango specializzati in arredi sacri. Un’esperienza che lo convince a mettersi in proprio e ad aprire un laboratorio a Cuvio.
Per mezzo secolo ha disegnato e cesellato proprio come facevano gli artigiani rinascimentali, costruendosi gli attrezzi, perché non sono in commercio, e alternando lavori di pregio a manufatti più semplici da inserire nelle cucine e nei ristoranti della valle. Tra i suoi committenti più famosi c’è il Teatro alla Scala di Milano per il quale ha realizzato le lampade per le scenografie del Nabucco di Giuseppe Verdi.
«Faccio tutto a mano – dice l’artigiano – dal taglio della lastra alla lucidatura. Il rame è un materiale che dà molte soddisfazioni perché si lascia lavorare, ma solo se lo conosci bene».
A metà degli anni Ottanta quasi tutti si buttano sull’argento, rende di più ed è più attraente, Francesco invece rimane fedele all’oro dei poveri. Fedeltà ripagata dai clienti che anche nel bel mezzo della crisi non fanno mai mancare lavoro al laboratorio di via Maggi. Molti arrivano dalla vicina Svizzera e quasi sempre grazie al passaparola. La fama di mastro Sonvico passa di bocca in bocca, favorita dalla mancanza di una concorrenza degna di questo nome. «L’ultimo cliente era di Locarno – racconta Francesco – si è presentato grazie a una segnalazione di un altro artigiano che non era in grado di fare la lavorazione richiesta».

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A suggerire soggetti e forme da incidere sul rame in genere sono i clienti: si va dalle scene bucoliche, le più gettonate, agli animali di casa. Un giorno in via Maggi è arrivato un medico egiziano che voleva un oggetto che richiamasse la cultura islamica. «Noi abbiamo qualche pezzo che riproduce scene della cristianità qualche santo o miracolo famoso – racconta l’artigiano -. Allora ha iniziato a girare per la bottega, ha scelto i pezzi, io li ho assemblati e in cima gli ho piazzato una bella mezzaluna. Ne è uscito un pezzo più unico che raro. La nostra forza è quella di dare risposte personalizzate al cliente».
Alla “Casa del rame” di Cuvio da qualche tempo lavora anche Martino, 26 anni, figlio di Francesco che per marcare subito la discontinuità generazionale ha costruito un sito dove pubblicizza l’attività di famiglia. Non è stato un passaggio scontato, perché il giovane quando era adolescente aveva scelto di diventare falegname. «A quell’età – conclude Martino – non capisci bene cosa vuoi fare e quindi non vedi le potenzialità di questo lavoro che invece sono tante. Lo consiglio ai giovani d’oggi perché in un momento di crisi come questo puo’ essere una scelta vincente». 

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Pubblicato il 19 Dicembre 2013
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