Giovanni Nuti “canta” la bellezza

Presentato all'Ambrosianeum di Milano il nuovo lavoro del compositore ispirato al cantico delle creature di San Francesco con gli arrangiamenti di Elena Papeschi e dedicato a Papa Francesco

Quando penso ad un musicista, come lo è Giovanni Nuti, penso inevitabilmente alla sua condanna: deve vivere con un’infinità di variazioni sul tempo ma è, quasi sempre, un uomo che può esistere solo al di fuori del suo tempo. Ciò che vede, spesso lo ha previsto. Eppure, del suo tempo deve conoscere più il brutto che il bello: perché la generosità nasce solo dalla sconfitta dell’egoismo, e il bene non può che sorgere dalla battaglia contro il male.
È questo uno fra i punti più forti della lezione di San Francesco c’è troppa bellezza, intorno a noi, per permettere a chiunque di prendersene gioco. Ma i primi a doverla difendere siamo noi: attraverso la poesia, la scultura, la pittura, la musica.
Attraverso, cioè, ciò che rende perpetuo il significato di eternità. La Storia condanna l’artista riflessivo e mai banale ad un compito ingrato: insistere sulle falle della società senza commettere l’errore di accondiscendere ai costumi insipidi e incongrui della vita.
L’artista che compone l’amore, come fa Nuti, ha conosciuto prima la sofferenza. E di questo esistere, deve scoprirne e trasmetterne la bellezza, non la precarietà. Il dubbio, sempre lecito, ma non la sconfitta.
L’artista, proprio per questo, non può essere un uomo perfetto. Piuttosto, cerca la perfezione solo dopo aver visto l’errore. È anche per questo che l’opera d’arte è sofferta e mai distratta.
Il percorso che la concepisce è complesso, a volte disordinato, ramingo. Ma sempre lungimirante.
Ciò che si avverte nella musica di Nuti è, dunque, un richiamo alla responsabilità. Non fa musica di intrattenimento, Giovanni.
Anche in questo caso, le note che regala agli arrangiamenti di Elena Papeschi – la pianista che ascolteremo questa sera – non sono mai leggere. Dietro la cortina della semplicità, si staglia come una lama il messaggio di una grandezza superiore che ci invade.

Per ascoltare musica, a volte, basta aprire le orecchie. Ma siamo sicuri che bastino solo queste? Probabilmente no: dobbiamo sforzarci di andare oltre. Allora ciò che si vede dall’esterno, non sempre corrisponde a ciò che si trova dentro. Ed è corretto parlare di questa musica come di un cantico a sé stante che, del più famoso Cantico francescano, apprende la sana esaltazione del mistero Giovanni condivide con noi questo senso di straniamento di fronte alla grandezza:
sia del Sole e della Luna che della santità.
Ascolterete: si tratta di musica generosa, fatta di una docilità che scava la pietra, gioiosa nel suo voler incontrare l’impalpabile dei nostri giorni. Quella forza che l’uomo trova, in fondo, nel suo chiedere a Dio o, semplicemente, ai suoi simili.
Dunque, Giovanni ci richiama al dovere di ascoltatori: attraversare, con coraggio, quella terra di nessuno nella quale la paura ostacola la conoscenza. E’ la sapienza, questa, di chi pone l’ascolto – e non il semplice sentire – alla base della sua Arte. È un Papa, Benedetto XVI – con il suo libricino «Sulla Musica”, pubblicato quest’anno – a sottolineare quanto attraverso la musica “noi possiamo arrivare ad avere uno sguardo più puro sulla nostra realtà interiore, scrutare in essa, nel riflesso della trama musicale, le passioni che la agitano e la scuotono, oppure le gioie e le speranze che la animano e la destano».
È un altro Papa, Francesco (al quale va la dedica interna del cd), a incitare la Chiesa ad un cambiamento importante: semplicità, spogliazione di ciò che non è essenziale, perseveranza nell’impegno che si riversa sul prossimo. Papa Francesco non canta, dichiara di essere “stonatissimo” ma ascolta la musica, perché il ritmo della vita si faccia ritmo nella preghiera.
Il Cantico di Giovanni Nuti vuole essere tutto questo: senza ambizioni bislacche, senza barocchismi e senza tentazioni da hit parade. Perché Nuti incarna ciò che fa dell’Arte una disciplina ferrea di crescita: trasformare i suoni in un antidoto contro le malattie della quotidianità. Che, poi, sono gli acciacchi dettati dalla fretta, dall’ambizione, dalla bruciante competitività che toglie fiato alle nostre parole più. Allora, è evidente che la musica di Giovanni Nuti non è, e non potrà mai essere, un esercizio di stile. Ci sono, in queste tracce, troppi coinvolgimenti emotivi per potersi permettere di ascoltare senza il tempo per poterlo fare.
Ci chiede, Nuti, di concederci un lusso: dare tempo al pensiero. E si tratta di una richiesta che è seria ma non severa. Diciamo, piuttosto, conciliante nel raccontare la forza così come la debolezza. Ed Elena Papeschi, in questo racconto di fratellanza smisurata, si pone come interprete/traduttrice capace di dialogare con se stessa e con una musica che è fatta veramente per gli altri.
Tutto passa attraverso il tocco che mette in relazione fra loro due anime: quella del compositore e quella di chi legge la composizione. È, questo, un problema che appartiene da secoli alla musica: interpretare non significa apporre significati altri a ciò che un autore ha scritto, ma tentare di esaltare i significati originali attraverso un lavoro di continua comprensione e analisi.
Elena Papeschi lo fa con un’energia poetica volta alla scoperta di ciò che la musica non dice perché non è tenuta a dirlo. Così in queste note di Giovanni Nuti ci sono segreti che ogni cuore conserva. Sono quelli della resistenza quotidiana, della rivincita della pazienza sull’istinto, della necessità di distinguersi con misura dalle esagerazioni e dalle circostanze del mondo. Se volete – e lo potete affermare con ragione – questo disco è una piccola provocazione alla quale poter rispondere, provocando: chi fra voi vorrà ascoltare il concerto ad occhi chiusi sarà, forse, perdonato.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 27 Dicembre 2013
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