Omicidio Faraci, i figli di Melina: “Sta male, liberatela”

C'è attesa per la decisione della Cassazione sulla misura cautelare per la madre 65enne, moglie di Antonino, accusata di aver partecipato al suo omicidio e in carcere da 5 mesi. Il legale: "Nessuna traccia del suo sangue"

Vito Faraci e sua sorella Antonella aspettano con ansia l’8 ottobre. Quel giorno, infatti, la Cassazione dovrà esprimersi sul ricorso contro la decisione del Tribunale della libertà fatto dai legali della madre, Melina Aita (65 anni), in carcere dal 19 aprile di quest’anno con l’accusa di omicidio nei confronti del marito Antonino Faraci (72 anni, nella foto a sinistra), trovato senza vita e in un lago di sangue nella loro villetta di Somma Lombardo lo scorso 12 aprile dopo essere stato colpito alla testa e con diverse coltellate.

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Secondo la Procura della Repubblica di Busto Arsizio ad uccidere il pensionato sarebbero stati due cittadini tunisini, attualmente latitanti e probabilmente già all’estero, ma ad aver architettato tutto sarebbe stata la moglie di Antonino che da cinque mesi è in carcere: «Siamo convinti che nostra madre non c’entra nulla con chi ha ucciso nostro padre – sostengono i due figli – siamo preoccupati per lei, una donna della sua età in carcere da cinque mesi e senza alcun elemento concreto che possa far pensare che lei abbia a che fare con l’uccisione di nostro padre. Noi stiamo vivendo una tragedia nella tragedia e in un colpo solo ci siamo ritrovati con un padre ammazzato e una madre in carcere. E’ assurdo».

A difendere la donna sono due avvocati molto conosciuti come Carlo Taormina e Cesare Cicorella. Il primo, soprattutto, si è dimostrato molto combattivo fino al punto di accusare gli uffici della Polizia Giudiziaria di aver nascosto elementi a favore della donna: «Non capiamo perchè i risultati del Ris non siano stati subito resi noti alla difesa – si chiede Taormina – il magistrato (Rosaria Stagnaro, ndr) dice di non aver ricevuto la relazione dei carabinieri di Parma prima dell’udienza in Cassazione e quindi di non averla potuta inserire nel fascicolo. Non ho motivo per non crederle ma il dottor Capra ha sostenuto in udienza che i risultati erano già pronti e che escludevano la presenza di sangue di Melita sia nell’auto che sui reperti raccolti in casa. Per noi questo è un fatto importante che speriamo venga preso in considerazione dai giudici che dovranno decidere della libertà di Melina Aita». Secondo i Ris, dunque, il sangue in casa appartiene ad un’altra persona che potrebbe essere uno dei due tunisini tutt’ora latitanti.

Il sostituto procuratore, dal canto suo, continua a lavorare sul caso nel massimo riserbo. Al vaglio ci sono i rapporti interni alla famiglia e con almeno uno dei due esecutori del delitto: «I miei conoscevano uno dei due assassini – raccontano Vito e Antonella – da quello che sappiamo avrebbero aiutato questa persona regalandogli dei soldi in un’occasione». Ma per il magistrato c’è qualche altro elemento che al momento non è stato reso noto a suffragio di una tesi che, altrimenti, non potrebbe stare in piedi, visti anche i risultati sulle macchie ematiche.

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Pubblicato il 25 Settembre 2014
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