Filature e tessiture in epoca fascista

Una nuova puntata nel viaggio della storia industriale della Valle Olona che si concentrerà nello sviluppo delle tessiture durante il fascismo e gli effetti della guerra sulla produzione

cantoni

Allo scoppio del primo conflitto mondiale, l’Italia scelse inizialmente di restare neutrale. Questa posizione consentì all’economia del paese di ottenere un’importante posizione di vantaggio strategico, giacché il Regno era nelle condizioni di fornire manufatti e altri prodotti agli stati belligeranti. L’industria italiana, e quella tessile in particolare, ne trassero indubbio giovamento. Nella fase della neutralità crebbero infatti sia l’importazione di cotone greggio dai paesi stranieri, sia l’esportazione di manufatti. Con l’ingresso italiano nel conflitto, l’industria cotoniera non conobbe una fase di decadenza in quanto le ingenti masse di soldati impegnati al fronte richiedevano grandi quantitativi di indumenti (vestiario e biancheria in particolare). Il numero di filati e tessuti si incrementò a Busto Arsizio e nel circondario soprattutto nel 1915 e nel 1916, per poi calare nell’ultimo periodo di guerra.

L’ascesa al potere di Mussolini fu sostenuta dagli industriali cotonieri della Valle Olona, i quali videro negli squadristi prima e nei governanti fascisti poi dei mezzi utili a calmierare le lotte di classe, sebbene in ogni modo il movimento operaio non avesse mai costituito un reale pericolo per gli imprenditori cotonieri della zona, come invece avvenne in altre parti del Regno. All’inizio del Ventennio fascista, negli anni successivi alla Marcia su Roma, ci fu una decisiva spinta alla meccanizzazione: aumentarono infatti i telai meccanici (12850 nel 1923), mentre i telai a mano, ormai impiegati unicamente nelle lavorazioni speciali, si ridussero drasticamente, attestandosi a soli 300 esemplari nel 1923.

Negli anni Venti vennero istituiti nuovi opifici cotonieri, e la distribuzione geografica degli stessi interessò, oltre alle città tradizionali della Valle Olona, anche piccoli borghi demograficamente poco rilevanti, tra cui si segnala Lonate Ceppino, Caronno Ghiringhello (dal 1940 Caronno Varesino), Vergiate, Mornago, Crosio della Valle, Casale Litta, Arsago, Daverio, Sumirago, Carnago, Gazzada e Azzate: nell’area interessata aumentò quindi in maniera considerevole la concentrazione di opifici cotonieri, i quali modellarono profondamente il paesaggio della zona. Nel 1928, il numero di filature si attestò a 24, le tessiture registrate furono invece 217, sulla base dell’annuario industriale della provincia di Varese dello stesso anno. Il numero di dipendenti raggiunse la ragguardevole cifra di 50000 nel 1931. L’evento storico più importante di questi anni è tuttavia l’istituzione della nuova provincia di Varese, avvenuta mediante l’invio di un telegramma di Mussolini al sindaco di Varese il 6 dicembre 1926:

Oggi su mia proposta il Consiglio dei Ministri ha elevato codesto Comune alla dignità di capoluogo di provincia. Sono sicuro che col lavoro e colla disciplina e colla fede fascista codesta popolazione si mostrerà meritevole dell’odierna disciplina del Governo Fascista.

Le ripercussioni sul territorio della Valle Olona non tardarono a farsi sentire, poiché l’area in questione costituiva da due secoli un distretto unitario non solo da un punto di vista economico-sociale, ma anche sotto il profilo amministrativo (con la denominazione di circondario di Gallarate). Tra la fine del 1926 e l’inizio del 1927 i confini vennero sottoposti a continui aggiustamenti, fino ad arrivare al compromesso del 31 marzo 1927, quando i comuni di Busto Arsizio, Castellanza e Sacconago furono inglobati nella neonata provincia varesina, laddove i centri urbani appartenenti al mandamento di Rho e Saronno (tra cui spiccano Legnano, Canegrate, San Vittore Olona e Nerviano) passarono sotto Milano, con la conseguenza di spezzare in due tronconi un’area geografica dai tratti marcatamente unitari.

A partire dagli ultimi anni Venti, l’industria cotoniera si trovò in difficoltà, a causa in primo luogo della rivalutazione della lira (provvedimento adottato dal 1927), e successivamente della depressione economica mondiale del 1929, la quale, oltre a far calare i prezzi dei fustagni, comportò la riduzione delle esportazioni dei manufatti nei paesi esteri. Le difficoltà di esportazione portarono gli imprenditori a “riversare” la produzione tessile sul mercato italiano, ma questo non sortì effetti benefici: i prezzi degli articoli cotonieri calarono ulteriormente e in alcuni casi gli imprenditori furono costretti a vendere i propri prodotti addirittura al di sotto del loro prezzo di costo. La temibile concorrenza dell’industria nipponica, che riusciva a produrre contenendo i costi della manodopera, contribuì ulteriormente alla crisi del settore. La fabbricazione di fustagni si ridusse del 35 per cento già nel 1930, molte manifatture furono costrette a chiudere o a ristrutturare la propria attività produttiva; anche il numero di dipendenti calò bruscamente, passando da 50000 nel 1931 a 38023 del 1940. Il contesto generale peggiorò nel 1935, quando le sanzioni commerciali inflitte all’Italia dalla Società delle Nazioni, dopo l’invasione dell’Etiopia, comportarono, oltre alla chiusura dei mercati ai manufatti italiani, l’interruzione dei rifornimenti di materia prima, e questo costituì un problema soprattutto per i tessitori, più che per i filatori: mentre questi ultimi detenevano infatti scorte di cotone greggio prodotto in Italia nei propri magazzini, i tessitori non avevano riserve e quindi si trovarono in una situazione drammatica. La politica fascista di centralizzare la produzione poi aggravò la situazione.

Il conflitto italo-etiope permise tuttavia alle manifatture cotoniere di vendere i propri articoli ai soldati dell’esercito e della marina e i quali, insieme alle necessità della sanità militare, contribuirono ad incrementare la domanda di fustagni, come già avvenuto nel corso della guerra del ’14-’18. Si calcola che le forniture militari tennero occupato il 25 per cento dei telai battenti.
La fine delle sanzioni nel 1936, la ripresa del mercato interno e l’esportazione di tessuti nelle neonate colonie italiane in Africa orientale giovarono ulteriormente alla graduale ripresa del settore cotoniero, sebbene non fossero raggiunti i livelli produttivi dei primi anni Venti.
Sulla base dell’annuario industriale del 1940, risultarono censite ben 35 ditte specializzate nella filatura e 244 tessiture, distribuite su tutto il territorio della Valle Olona. Nel corso degli anni Trenta furono soprattutto le tessiture a diffondersi nei comuni della Valle Olona, con nuove fabbriche nei comuni di Montonate (frazione di Mornago), Jerago, Quinzano, Menzago (frazione di Sumirago), Villadosia (frazione di Casale Litta), Castronno, Morazzone, Peveranza (frazione di Cairate) e Inarzo. Alla vigilia della seconda guerra mondiale, quindi, l’industria cotoniera, attraversata la fase della grande depressione e delle sanzioni commerciali del 1935, era in leggera ripresa, quantunque non fosse riuscita a ritornare sui livelli del primo dopoguerra. La diffusione delle industrie interessava ormai pressoché tutti i paesi della Valle Olona, anche quelli più piccoli, segno che in tutto il territorio preso in considerazione le manifatture di cotone caratterizzarono profondamente non solo il paesaggio, che assunse tratti peculiari e caratteristici, ma anche la vita di tutti gli abitanti dell’area, scandita oramai sempre più dalle sirene degli opifici.

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Pubblicato il 09 Marzo 2015
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