Da Carù, tra i dischi in vinile. “Aperti grazie alla musica di qualità”

In tempi di musica digitale e spotify, i negozi di dischi sono sempre meno, quelli indipendenti sono una rarità. A Gallarate uno dei più apprezzati: "Si vende la musica dietro a cui c'è qualcosa, che non scompare nel giro di due settimane"

Paolo Carù

I negozi di dischi diventano una rarità. I Cd – certo più a fatica di un tempo – li trovi comunque, relegati in un paio di espositori nei centri commerciali o nelle grandi catene legate ai gruppi editoriali. Ma i negozi di dischi indipendenti – quelli vecchio stile, del genere ritratto da film come Alta Fedeltà – sono sempre di meno. Carù Dischi, a Gallarate, è uno di questi: tanto noto e apprezzato, che è finito anche in una classifica internazionale tra i migliori negozi indie al mondo, quella messa insieme dal britannico The Guardian (qui l’articolo). Un negozio di pochi metri quadri, in un antico palazzo nella centrale piazza Garibaldi, accanto alla libreria Carù: nell’aria risuona sempre una canzone blues o country rock, gli appassionati chiaccherano e passano tra le dita le copertine dei dischi in vinile negli espositori di legno. Ci passano ragazzi in bicicletta e persone che salgono in auto e imboccano l’autostrada, gente che a Gallarate passa solo per i dischi. E dietro al bancone c’è Paolo Carù, entrato nel 1966 a fianco al padre che vendeva dischi già dal ’51.

Carù Dischi Gallarate

L’atmosfera è quella descritta dal Guardian, salvo che per il “profumo di cappuccino” che i redattori del giornale inglese giurano di aver sentito. «Non so perché, si vede che quella mattina avevamo portato qui il caffè» dice Paolo Carù, tra dischi, locandine di concerti e riviste americane.

I negozi di musica – in particolare quelli indipendenti – sono sempre di meno, in Italia e non solo: Carù Dischi è un riferimento riconosciuto: qual è il vostro segreto?
«Il segreto è la passione, il fatto che per anni abbiamo promosso la musica che ci piace senza promuovere le cose commerciali, che comunque si vendono: se la chiedono abbiamo anche Adele o Fedez, le abbiamo, ma a noi interessa promuovere una musica che in Italia non è molto divulgata e importata. Sono anni che facciamo questo lavoro, basato sulla qualità, secondo la nostra idea di qualità: ognuno la vede a modo suo, comunque visto che ci siamo vuol dire che qualcuno che ci segue c’è».

Sul tipo di musica che vendete c’è stata comunque una flessione significativa di vendite?
«Se parliamo di venti anni fa sicuramente, ma negli ultimi anni bene o male si lavora: ad esempio l’anno scorso abbiamo lavorato più dell’anno precedente».

Il vinile non lo puoi sostituire con la musica digitale…
«Il ritorno del vinile è significativo perché c’è gente che si è stancata di avere per le mani il nulla, musica senza supporto. Il vinile è l’oggetto principe se si parla di musica: certo l’aumento delle vendite del vinile non ha coperto la riduzione dei Cd, il gap esiste lo stesso. Però se prima vendevamo un vinile, magari adesso ne vendiamo cinque, dieci»

Che ruolo ha la rivista Buscadero?
«Buscadero è una rivista di livello nazionale, ha un ruolo perché divulga un certo tipo di musica. Dipende da un gruppo di persone che ci lavora e propone la musica secondo il proprio gusto. Di certo è un traino notevole per un certo tipo di musica: proponiamo musicisti che magari non sono nessuno e poi emergono. Quest’anno abbiamo promosso Anderson East, Chris Stapleton e Nathaliel Rateliff:  erano tre emeriti sconosciuti, oggi Stapleton è numero uno nelle classifiche Usa di settore della musica country-rock, roots; quello di Rateliff è considerato uno dei migliori dischi dell’anno, Anderson East ha vinto addirittura varie classifiche come disco dell’anno. Non dico che vediamo lontano, ma cerchiamo personaggi emergenti in cui la qualità è fondamentale. E poi sono dischi che hanno una vendita lunga, la gente li scopre lentamente, non si bruciano in due settimane: Stapleton è uscito a maggio, è un disco che si vende tuttora. Mentre il disco commerciale del momento si vende per due-tre settimane. Almeno da me, magari altri lo vendono più a lungo e vivono di questo».

Fate anche concerti…
«Prima avevamo un locale che ora non abbiamo più per ragioni di costi. Ma andremo avanti a farli lo stessi: alcuni microscopici qui, altri in piazza o al Palazzo Minoletti qui di fianco. Ci piace farlo, anche se ovviamente sono anche dei costi».

Il negozio diventa anche punto di ritrovo, di discussione…
«Il negozio dove c’è un dialogo tra venditore e acquirente, è sempre stato così qua. Per parlare di musica: a volte sono i clienti che danno un’idea, suggeriscono nomi. (fa una pausa) Comunque i tempi sono duri, non è tanto facile andare avanti».

Dal punto di vista dei numeri, rispetto ad esempio a dieci anni fa quando già esisteva lo scambio di musica digitale, quanto è cambiato?
«Devo essere sincero: a noi il digitale non ci ha fatto questo grande danno. La mia clientela media è una clientela che compra, a cui piace l’oggetto. Sì, c’è qualcuno che scarica musica, magari gli piace e poi compra il disco, se non gli piace mette da parte. Non è la clientela che prende italiano o commerciale, che invece se vuole la canzone la scarica».

Ad esempio?
«Ci sono dei fenomeni come Pausini, che in generale ha venduto tantissimo, ma il disco nuovo ha venduto pochissimo: sugli italiani capita spesso. Mentre invece il disco di Stapleton o di Dylan o di Van Morrison lo vendi sempre, di Grateful Dead (gruppo scioltosi nel 1995, ndr) anche quest’anno ne abbiamo venduti una valanga: è musica di qualità, è una musica dietro a cui c’è qualcosa».

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 05 Gennaio 2016
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