Lucia Uva sbagliò a insultare i carabinieri ma fu colpa di indagini opache
Le motivazioni della sentenza che ha assolto la donna dalle accuse di diffamazione contro i carabinieri

Ha subito un fatto ingiusto e fu indotta a sbagliare da indagini opache: dopo 4 anni, infatti, non aveva ancora avuto un processo che stabilisse, anche dal punto di vista medico, quale fosse la verità dei fatti in ordine alla morte del fratello. Dunque, per questo motivo, il tribunale di Varese (giudice Cristina Marzagalli) ha applicato una importante esimente che ha dato portato all’assoluzione di Lucia Uva.
Si tratta della causa per diffamazione che riguarda la sorella di Giuseppe Uva. Le motivazioni dicono che, pur riconoscendo che aveva rivolto su facebook delle offese ai carabinieri e ai poliziotti implicati nelle indagini sulla morte di Giuseppe, e che anche alla trasmissione tv Le Iene aveva fatto affermazioni offensive sulla presunta violenza sessuale avvenuta a suo dire, ha agito in uno stato d’ira, o più propriamente di indignazione continuata nel tempo, determinato dal cosidetto “fatto ingiusto altrui” previsto dall’articolo 599 comma 2 del codice civile.
In questo caso, secondo il tribunale, il fatto ingiusto era da considerarsi proprio un fatto “contrario oggettivamente alle regole di civile convivenza”. Ovvero il mancato accertamento delle cause della morte del fratello. Non solo: anche la mancanza di serenità di rapporto tra la pubblica accusa dell’inchiesta e la famiglia della vittima.
La reazione non è punibile, in questi casi, quando la medesima avviene dopo un fatto ingiusto che ha suscitato uno stato d’ira, ma la cassazione ha previsto anche che lo stato d’ira si prolunghi nel tempo e divenga indignazione: dunque “è sufficiente che la reazione abbia luogo finche duri lo stato d’ira suscitato dal fatto provocatorio”.
Lucia Uva ha certamente sbagliato nell’individuare come colpevoli le forze dell’ordine, tuttavia è stato un errore “determinato dalla oggettiva situazione di opacità delle indagini. Le carenze investigative e l’atteggiamento oppositivo del pm hanno comprensibilmente indotto Lucia Uva a sospettare l’esistenza di una verità scomoda”.
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