Via Francigena: da Medesano a Sivizzano

Si entra negli Appennini e tra domani e dopo si sale al passo della Cisa. Giornata di incontri e riflessioni

Via Francigena: Fidenza - Medesano

C’è già aria di montagna a Sivizzano. Siamo di poco oltre i duecento metri di altezza, ma i veri protagonisti iniziano ad essere gli Appennini. Arrivare qui da Medesano non è stata lunga. Circa venti km in prevalenza su strade asfaltate minori. Il traffico in ogni caso c’è e occorre fare attenzione.

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La notte non è stata semplice. Un caldo asfissiante e da parte mia anche il timore di disturbare Silvio. Un timore che si è fatto realtà perché lui ha faticato ad alzarsi dopo una notte inquieta anche per il mio russare. A Medesano, come a Santhià, è un bar gestito da ragazzi cinesi quello che apre prima. Alle cinque sono già operativi anche se a me bastano le 6.15 del locale proprio sotto l’ostello. La colazione è fondamentale perché al mattino c’è bisogno di energia. Se ne fanno addirittura due. La seconda arriva dopo 2-3 ore di cammino sulla base dei paesi che si incontrano per strada. Oggi così mi tolgo la soddisfazione di mangiare una bella fetta di anguria acquistata in un supermercato insieme con il necessario per pranzo e colazione di domani.

A Fornovo sul Taro si arriva attraversando un tratto del parco fluviale che si sviluppa tra il fiume e la A15. In un incrocio in mezzo alla vegetazione bassa della riserva mi sento chiamare. “Marco, Marco…” Le voci arrivano da un ciclista con la bici carica di borse. “Ciao, sono Antonio e anche se non ci conosciamo di persona ti sto seguendo da quando sei partito. Ti aspettavo domenica sera all’ostello Santi Eusebi a Vercelli…”. Lo guardo con curiosità e cerco di non fare la ruota come un pavone trattenendo a fatica il narcisismo che fa festa dentro di me. “Da dove arrivi?” Gli chiedo per cercar di capire come possa procedere l’incontro. “Sto tornando a casa. Sono di Sevarezza, vicino a Pietrasanta. Ho fatto una settimana di ospitalero e ora rientro in bici. Possiamo camminare un po’ insieme?” E intanto scende dalla bici.  Antonio ha un cappellino con una piccola girandola. Fisico asciutto. Avrà più o meno la mia età.

“Ti ascolto tutti i giorni su Radio Francigena. Mi piacciono i tuoi racconti, ma posso farti due appunti?”
“Certo”.
“Mi piace che descrivi con passione l’Italia e la Francigena. Sembra tutto bello il nostro paese, ma non è mica così. C’è tanta disperazione ma anche tanta cattiveria e persone negative. C’è ostilità verso l’altro, il diverso. Noi siamo fortunati perché i pellegrini hanno uno sguardo diverso sulla vita, ma di questi tempi sento tanta rabbia e razzismo”.
Comprendo bene cosa mi vuol dire Antonio e non posso che esser d’accordo. Credo però che molto dipenda dalla cultura che abbiamo vissuto in questi anni.
“Ti faccio un esempio su cui riflettevo nella tappa dell’altro ieri, il giorno prima il disastro ferroviario. Ho camminato per ore di fianco alla linea dell’alta velocità e riflettevo sul fatto che siamo soliti lamentarci per come vanno le cose in Italia. Credo che dovremmo ribaltare la prospettiva e ringraziare per tutto quello che funziona anche bene. Guardando quei binari mi chiedevo come fosse possibile veder transitare decine di convogli all’ora… Noi siamo sempre pronti a puntare il dito e abbiamo smarrito il senso della complessità e anche quello della responsabilità”.

Mentre siamo immersi nelle nostre chiacchiere, quasi ci conoscessimo da sempre, è apparso Silvio che ha dormito con me all’ostello di Medesano. Ci salutiamo con Antonio e proseguo con Silvio. Arriva dal Veneto. Insegna matematica e fisica in un liceo di Venezia. Ha già percorso diverse volte la Francigena e quest’anno proverà a raggiungere Brindisi. Lui è un gran camminatore. Ha già percorso tre diversi itinerari di Santiago. Arriviamo insieme a Fornovo e poi va via da solo con un gran passo. Dormirà a Cassio o forse addirittura a Berceto.

Oggi è il giorno degli incontri. Mentre fotografo alcune statue fuori da duomo di Fornovo si avvicina una signora e mi saluta. “Ciao, che piacere conoscerti di persona. Ti stiamo seguendo su Facebook da alcuni giorni e speravamo passassi di qui”. Donatella lavora all’ufficio informazioni turistiche del comprensorio. Ha letto tutto quello che ho scritto e ci tiene a mettermi il timbro sulle credenziali e mi chiede di firmare il loro registro. Mi dà alcune diritte sulla strada consigliandomi una piccola variante che mi permette di evitare di fare solo le strade asfaltate.

Riparto e in poco più di due ore sono arrivato a Sivizzano. Resto incantato dal piccolo borgo, ma soprattutto dal chiostro di fianco alla chiesa. L’ostello è uno stanzone con una ventina di brandine.  Molto spartano, ma anche pieno di fascino. Enrica la perpetua mi spiega quattro cose e così dopo le classiche procedure vado a far due passi. “Per telefonare – mi dice Enrica – devi andare alla cabina del pellegrino che rimane avanti centoventi passi. Non c’è campo da nessuna parte e se non andate lì non potete nemmeno telefonare”.

Quando ritorno verso il borgo mi cade l’occhio sulla lapide che commomera i caduti nelle due guerre. Sivizzano, poche centinaia di anime ha avuto 22 morti e 4 dispersi nella prima guerra mondiale, 10 morti tra partigiani e soldati e quattro dispersi nella seconda. Un tributo davvero alto per una comunità così piccola.  Resto con questi pensieri nella testa riflettendo di quanti siano i benefici del vivere in un paese che da 70 anni non ha vissuto direttamente la guerra. È una riflessione perfin banale, ma quanto ci aiuterebbe a vedere la vita con occhi diversi.

Il pomeriggio a Sivizzano arriva un vento fortissimo e i paesaggi cambiano con una velocità incredibile. Il cielo terso aumenta l’intensità dei colori della natura.  E da domani ancora più immerso tra i monti che tanto impensierivano i pellegrini nel passato. E devo dire che malgrado 13 giorni nella gambe, impensieriscono anche me. 

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Pubblicato il 13 Luglio 2016
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