No agli eccessi di welfare: il conto per le imprese è troppo alto
Confartigianato: «Il rischio è che si voglia trasferire sulle imprese il compito di provvedere direttamente a quote aggiuntive di benessere, tutela e previdenza dei lavoratori»
Quanto ci costa l’assistenza di Stato? Per quanto ancora, chi oggi salda il conto, riuscirà a sostenerne il peso? Il “Controllore” controlla chi, come e perché beneficia di un supporto che drena risorse sempre più consistenti a imprese e cittadini? E, ultimo ma non meno importante, oggi in Italia si può ancora parlare di libertà d’impresa oppure, a guidare il destino delle imprese, sono piuttosto tasse, prescrizioni e burocrazia?
A domandarselo è Confartigianato Imprese Varese, alla luce di cifre da brivido che rischiano di mandare all’aria il rapporto tra produzione e sostegno. Elaborate dall’Ufficio Studi di Confartigianato nel rapporto “Le 5 leve dello sviluppo: il perno dell’impresa” – presentato il 28 ottobre scorso in occasione della “Convention Mezzogiorno” – le cifre evidenziano come nel Sud Italia il peso degli occupati privati in rapporto alla popolazione improduttiva e al lavoro pubblico sia pari al 32%. Il che, detto in altri termini, significa che un terzo della popolazione produce, e la restante maggioranza no. Il rapporto si inverte risalendo nelle regioni del Centro Nord.
In parallelo si evidenzia il notevole peso dell’assistenzialismo, che disincentiva l’offerta di lavoro: il Mezzogiorno – rileva sempre lo studio – conta 1.158.200 pensionati per invalidità civile, quasi il doppio (198,4%) degli occupati nelle imprese artigiane del territorio. Una relazione che scende a due terzi (69,4%) nel Centro-Nord. Nel dettaglio, la Campania conta meno di tre pensionati di invalidità civile per ogni addetto dell’artigianato, con un’incidenza del 287,5%. Seguono la Calabria a quota 246,1% e la Sicilia dove troviamo un rapporto dell’ordine di 2 ad 1 (207,9%). Al quarto posto c’è il Lazio (199,0%), seguito da Puglia (170,0%), Sardegna (157,7%), Basilicata (141,2%), Molise (124,1%) e Abruzzo (116,1%).
Questo squilibrio che, per perpetuarsi, ha bisogno di sempre nuove immissioni di liquidità, derivanti dalle tasse che gravano pesantemente su aziende e lavoratori. Ma «chi stabilisce l’entità dell’offerta di welfare? Quale contratto sociale fissa i limiti e i criteri distributivi? Quali sono i requisiti necessari per accedervi?».
Questioni che Confartigianato Imprese Varese torna a porre sul tavolo della politica, a ridosso del varo della manovra di Bilancio e dell’annesso decreto fiscale dopo che, meno di un mese fa, aveva già chiamato a una presa di responsabilità: «Se andiamo avanti di questo passo, gli imprenditori si sostituiranno allo Stato: e non solo nel riscuotere le tasse», il monito rilanciato dal presidente Davide Galli.
«Il rischio, a fronte di una spesa pubblica sempre più insostenibile, è che si voglia trasferire alle imprese il compito di provvedere direttamente a quote aggiuntive di benessere, tutela e previdenza dei lavoratori (e non solo) che lo Stato vorrebbe ma non è più in grado di garantire». Quanto potrà reggere il sistema? Rottamazione delle cartelle di Equitalia, regime per cassa, Iri e altri interventi varati a sostegno delle piccole e medie imprese italiane risulteranno utili solo se supportati da un processo di revisione più ampio del sistema.
La richiesta è una: «Fateci produrre ricchezza e consentiteci di reinvestirla in produzione, competitività e ricerca. O l’Italia diventerà il paese della produttività di Stato. O meglio, per lo Stato». Anche qui, parlano le cifre del dossier: la spesa per le pensioni di invalidità negli ultimi dieci anni è aumentata complessivamente del 51,6%. Nel Sud si spendono 2,5 miliardi in più, quasi il 60% in più. E anche al Nord le cifre lievitano: +46,5%, e un conto da 2,7 miliardi.
No a puntare il dito indistintamente, sì a controlli e verifiche: «Chi ha bisogno di supporto, spesso, rischia di trovarsi le porte sbarrate o di doverselo guadagnare a suon di burocrazia, ispezioni, verifiche e ritardi mentre, di contro, troppo spesso leggiamo di furbetti che approfittano della generosità di Stato, e del sistema produttivo. Oggi, che tanto si dibatte di riforme costituzionali e di leggi da applicare, più che mai chiediamo che anche questo torni ad essere un tema, concreto, al centro del dibattito».
Perché l’equilibrio è già squilibrato, perché l’impresa non può e non deve fare welfare e perché alla base dell’economia deve tornare ad esserci la libertà di produrre e decidere. E’ proprio così? Evidentemente no.
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