Sette maratone in sette continenti: l’idea da Guinness di Bonicalzi
Il runner di Gallarate sarà in gara a New York (nel 2011 fu 583°) per preparare un'impresa che inizierà a Dubai nel gennaio 2017
Sarà ancora al via della maratona più famosa del mondo, quella di New York, dove per anni è stato il miglior varesotto al traguardo. Ma questa volta i 42 chilometri che scattano dal Ponte di Verrazzano saranno un “semplice” (virgolette d’obbligo) allenamento per Bruno Riccardo Bonicalzi, il 38enne di Gallarate che è alla settima partecipazione e che come miglior risultato vanta – nel 2011 – un ottimo 583° posto in 2h53’22” su 47mila concorrenti.
Un allenamento per qualcosa di ancora più duro e affascinante: entrare nel Guinnes dei Primati correndo nel minor tempo possibile sette maratone in sette continenti, a partire da gennaio 2017 (Dubai) per concludere a marzo 2018 in Antartide. Nel mezzo Milano (aprile), Rio De Janeiro (giugno), Sydney (settembre), New York (novembre) e Marrakech (gennaio ’18). E magari aggiungendo all’elenco anche il Polo Nord ma marzo 2019.
Per i comuni mortali è un’idea pazzesca. A lei, che da qualche anno corre con buoni risultati, come è venuta?
«Nel 2015 ho iniziato ad allenarmi per disputare due “mezzi ironman” di triathlon e in quel periodo sono venuto a conoscenza della disputa di una maratona podistica anche al Polo Nord. Da lì ho conosciuto il cosiddetto Gran Slam, il “club” che raduna tutti quelli che hanno corso sette maratone in sette continenti (separando Nord e Sudamerica e aggiungendo l’Antartide ndr). Ho visto che non ci sono italiani e quindi mi è venuta voglia di partecipare. E poi ho scoperto che esiste un record dato dalla sommatoria dei sette tempi: ho deciso di puntare a quello».
New York 2016 quindi è “solo” una prova generale del suo massacrante 2017.
«New York è un rito ed è l’unica maratona che ho disputato fino a ora: sono alla settima partecipazione comprendendo anche il 2012, quando la gara non venne disputata. Quella volta però in moltissimi ci ritrovammo ugualmente a Central Park, per un paio di giri insieme: fu bellissimo e io conto come se sia stata una maratona vera. Per me New York è ormai una cartina di tornasole sulle mie condizioni fisiche: ho i miei riferimenti, capisco come sta il mio corpo. E poi quest’anno ci sarà un risvolto romantico: correrò con un numero “5” stampato sulla maglia, perché proprio al termine della maratona di 5 anni fa mi dichiarai per la prima volta a mia moglie. Un modo per ringraziarla per il supporto e per il tempo che mi concede per la preparazione».
Negli anni scorsi ha anche concluso la maratona con tempi di tutto rispetto. Come ha scoperto questo talento per i 42,195?
«Nel 2008 ero a Boston per motivi personali e andai a New York proprio nel weekend della maratona: mi innamorai della cosa e promisi di correre nel 2009. Allora non sapevo nulla di queste cose, ho cominciato da autodidatta e poi ho iniziato a lavorare con un coach di Busto, Sebastiano Marchetta, che mi ha seguito fino al 2011. Quello fu l’anno migliore, quando ho realizzato il mio personale».
Il progetto delle sette maratone però necessita di un team di supporto più consistente.
«Vero. Già oggi mi seguono il dottor Mondazzi, dietologo del centro Mapei, il mio allenatore Antonacci che mi ha affiancato anche per il triathlon e il fisioterapista Matteo Varalli. Però per l’obiettivo del Guinness il gruppo si allargherà, comprendendo anche un supporto per il marketing e la comunicazione. A proposito: l’impresa si chiamerà “Follow Bruno” e la presenteremo a fine novembre».
Ci tolga una curiosità: quando si allena?
«Premessa doverosa: nei primi anni preparavo per sei mesi New York e poi andavo in letargo per i successivi sei. Oggi, come detto, seguo meglio i programmi del mio staff, anche se devo conciliare le uscite con gli impegni lavorativi in una società di costruzioni e quelli familiari, visto che ho due bambine piccole. In inverno esco in pausa pranzo oppure, nel weekend, di buon mattino; d’estate invece per via del caldo inizio al mattino molto presto. Il tutto per sei giorni su sette, per circa 80/90 chilometri a settimana, quasi sempre da solo perché purtroppo ho esigenze e orari che non mi permettono di uscire in gruppo. Ma a New York, sicuramente, non soffrirò di solitudine».
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