Tu chiamale, se vuoi, narrazioni

Che sia un giornale o un’azienda a articoli, poco conta nella nuova frontiera delle news. A patto che vengano rispettate regole precise e spirito critico. A Glocalnews esperti a confronto

Avarie

“Allarme sicurezza a Milano. Sala: serve l’esercito”. Ecco lo tsunami informativo, la valanga di bit bruciati per raccontare la cresta dell’onda mediatica, quella che ti fa “la prima”: ma il giornalista “da marciapiede” che consuma non metaforicamente suola delle scarpe e batterie del telefono, quello sembra sparire: e allora tutti dietro al titolo da clik, alle due telefonate che fanno l’inchiesta, al biglietto del tram timbrato che diventa “Viaggio nell’inferno di…”.

Questo per i giornali.

Poi ti capita, magari, di leggere articoli ben fatti, documentati e ricchi di dati, che fanno respirare la qualità e ti permettono di rimanere attento fino all’ultima parola, ma “targati” col nome di un’azienda.

A chi credere? Quali garanzie ci sono per i lettori. E, alla fine della fiera, cos’è oggi una notizia, chi la racconta, e come la si racconta, nell’era della fine del privilegio del giornalista come comunicatore esclusivo? La notizia, col digitale, è cambiata a seconda di chi la dà? Domande ben poste da Daniele Chieffi, giornalista che si è fatto le ossa nella scuderia Repubblica ai tempi di Tangentopoli, il quale si è interrogato sul tema questo pomeriggio in “Come ti racconto la notizia?”, panel di Glocalnews che ha ospitato esperti di settore del calibro di Marco Alfieri, giornalista e content strategy e news room manager ENI («Sono passato col lato oscuro della Forza» ha detto scherzando); Alberto Puliafito, direttore di Blogo; Ivan Berni, direttore del Master di giornalismo alla Iulm; Francesco Costa, vicedirettore de “Il Post”.

Premessa metodologica targata Puliafito e Alfieri: la news rimane, ma molto disintermediata, perché il giornale non è più il solo tramite attraverso cui passa. La base da cui partire – che lavori nella grande multinazionale dell’energia o alla plancia di un giornale – è sempre la stessa: trasparenza nei confronti del lettore.

«I criteri che si utilizzano per fare comunicazione aziendale sono gli stessi che si impiegano per il giornalismo», ha ricordato Alfieri, bella penna qualche anno fa alla Stampa, «ma il nodo vero è che nulla vieta ad aziende di utilizzare chiarezza nei confronti del pubblico». Anzi.

Una regola da seguire anche dove non ti aspetti di doverla pretendere, come in una pagina del più tradizionale quotidiano cartaceo dove si trova un mix di informazioni che vanno dal lancio d’agenzia alla notizia di cronaca, all’inchiesta all’analisi, magari sponsorizzata dal grande gruppo, come ricorda Francesco Costa.

Inutile, quindi, fare troppe distinzioni fra aggregazione di notizie o giornale tradizionale. I concetti cardine sono due: trasparenza nel sapere da dove arriva un’informazione, e “distacco” del lettore dalla prima informazione che legge su di un argomento; non diffidenza, ma senso critico nel non dare nulla per scontato, nel cercare e ricercare conferme, nel confrontare informazioni su di un tema con altri autori, o altre testate. Una sorta di etica,o consapevolezza della lettura.

Beninteso, però: «Senza le notizie, il giornalismo non esiste: la notizia è tale se riveste un interesse pubblico ed è l’elemento che distingue il giornalista professionale da chi non lo è. Le aziende devono comunicare ma la chiave deve sempre essere la trasparenza», conferma ilprofessor Berni, che concorda sull’allenamento nella capacità critica della lettura da parte dei fruitori, i lettori, come antidoto per orientarsi nel mare dell’informazione.

Sempre secondo Berni le aziende stanno imparando tuttavia da poco a comunicare con criterio, e anche i giornali non hanno mai imparato davvero a raccontare le aziende. In mezzo c’è la tecnologia, l’informatica che tutto avvicina, ma tutto velocizza.
E le notizie giocate sulla velocità producono danni irreversibili.

Ed eccolo il freschissimo caso “sicurezza Milano” (l’accoltellamento e la morte di un sudamericano, la richiesta dei militari da parte del sindaco Sala ecc), questo «accomodarsi nella ripetizione», nel refrain che produce danni seri.
Ma quindi quali criteri segue oggi la realizzazione delle notizie, incalza Chieffi. La pancia dei lettori? Le ‘finte bolle’ informative? Quali scelte si fanno?

E qui esce la chicca, che è enunciato, matematica della comunicazione: «Tutto quello che è metrica quantitativa, é metrica di vanità», spiega Puliafito e «spesso il dramma sta nel fatto che chi pubblica per i click, senza verifiche, sono testate giornalistiche a tutti gli effetti: spesso basterebbero pochi minuti per capire se una notizia è vera, o se è una bufala», vedi palle di fuoco nel cielo, e compagnia bella.
La realtà spesso è che «chi ha alcuni obiettivi di traffico è sovente disposto a vendere la propria madre», l’importante è sempre non scendere troppo in basso, ricorda Francesco Costa.

Quindi? Quindi la regola è il linguaggio: spiegare la crisi in Estonia in maniera facile può rendere bene quasi quanto il cane che batte le zampe a tempo, filmato dalla nonna e messo nella “colonna infame”, quella di destra dove primeggiano amorazzi, seni al vento, farfalline o tatuaggi mostre, a seconda dei gusti. 
Quindi perché scandalizzarsi se Netflix promuove un’inchiesta sulle condizioni carcerarie statunitensi alla vigilia del lancio di una nuova serie tv che proprio di quel tema tratta?

Cos’è: una persuasione occulta? O giornalismo? Buona la seconda, ma solo se si se svolge una funzione pubblica, e solo si seguono le regole di trasparenza e onestà nel raccontare i fatti. Anche con la forza evocativa delle immagini, che diventano narrazioni per tutti.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 17 Novembre 2016
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