Castelluccio di Norcia è uno spettacolo, anche dopo il terremoto
E ci si può già andare: perché gli abitanti del paese tra i monti della Valnerina non si sono arresi e ci sono strutture ricettive aperte, prodotti tipici e varie attività
Lo scenario intorno – arso dal sole – in questo agosto caldissimo ricorda più il Nevada che non l’Umbria verde da cartolina. In compenso la brezza e l’altitudine rendono finalmente respirabile l’aria: a Castelluccio di Norcia, nella conca tra gli Appennini, tira sempre il vento. E oggi l’aria mossa appare una benedizione. Anche per chi riempie il piazzale all’ingresso del minuscolo borgo: «L’anno scorso di questi tempi qui ci stavano 5mila persone, adesso quante ce ne saranno in tutto, cento?» mi dice Michele Cieri, che sale da Norcia per vendere formaggi e salumi, con il suo stand.
Dopo che il terremoto dell’ottobre 2016 ha reso inaccessibile il vecchio borgo in pietra (la sola parte antica), lo slargo dove si incrociano le strade principali è l’unico luogo d’incontro per chi – pochi – qui ci abita, per chi ci lavora di giorno, per chi viene da fuori. C’è un clima quasi surreale. A metà mattina si chiacchiera sulla panchetta fuori del bar Sibilla, chiuso: sembrano tutti in attesa che arrivi qualcuno, di un qualche evento. Due giovani soldati del 66° Reggimento Fanteria Aviotrasportata, in mimetica, vigilano pacifici sulle transenne della zona rossa, all’ombra di un grande escavatore fermo. Il Corriere dell’Umbria, il giornale locale, assicurava che in questi giorni si abbatteranno alcuni ruderi che impediscono l’accesso al paese vecchio, ma non sembrano esserci lavori in corso.
lo slargo all’ingresso del paese, con le storiche scritte goliardiche sugli edificiVado alla ricerca di un caffè: appena oltre il grande incrocio al centro del paese c’è un edificio che – con le bandiere al vento – ha quasi il lindo aspetto di un rifugio di montagna. Mentre aspetta che la macchina del caffè si scaldi, Rodolfo Bertoni, il giovane titolare, sfodera una certa sfiducia nel modo in cui viene raccontata Castelluccio terremotata: «Hai mai sentito dire in televisione che a Castelluccio ci sono due attività dove si può dormire? Dicono sempre che Castelluccio è rasa al suolo, ma non è così. Lasciali stare, i giornalisti». Con la tazzina di caffè in mano spiego che sono anche io un giornalista, anche se in vacanza. Ci vogliono un paio di minuti a sciogliere la diffidenza, soprattutto per merito del suo coriaceo entusiasmo. Io gli dico che non ho fatto foto al paese, un po’ per pudore di riprendere uno scenario che oggi per molti è doloroso, un po’ perché mi sembra meglio concentrarsi sulla bellezza della piana. «Molti vengono qui per la piana, ma la piana non esisterebbe senza Castelluccio e i suoi abitanti» mi risponde. «Non esisterebbe la fioritura, non esisterebbe questo paesaggio se non fosse per generazioni che hanno coltivato, si sono prese cura dei campi, ci lavorano anche ora».
La strada da Norcia a Castelluccio ha riaperto a inizio luglio, a nove mesi dal sisma, è aperta solo di giorno (dalle 6 alle 22). Ci sono alcuni tratti a senso alternato, ma l’attesa ai semafori di cantiere è una buona occasione per osservare il paesaggio. Dall’alto del valico, nel cuore d’estate, l’altipiano appare come una distesa selvaggia, ma mentre ci si avvicina l’osservazione attenta coglie pian piano la geometria della sistemazione dei campi, i pascoli delimitati. Prima del paese, nel nulla dei campi, si vedono riunite mietitrebbie, trattori e mezzi agricoli degli agricoltori, come fosse un accampamento dei coloni del West da film americano. Ancora più isolato nel mezzo della piana invece c’è l’allevamento di cavalli della famiglia Brandimarte: sono ritornati qui a inizio maggio, la “transumanza” degli equini – notizia battuta dall’agenzia Ansa – è rimbalzata sui giornali di mezza Italia.
La cavalcata nella piana è solo una delle varie attività che Castelluccio – al di fuori del periodo della fioritura che attraeva migliaia di persone – offriva ai turisti. E in realtà le attività le offre anche oggi: perché grazie alla presenza di due strutture aperte (la Valle delle Aquile, con vista sulla piana, e l’hotel-ristorante Villa Tardioli, ai margini della piazza) si può dormire in paese e farci due giorni di soggiorno o anche di più. Tra primavera e inizio estate due diverse organizzazioni hanno portato qui comitive con un trekking a dorso di mulo, turismo a ritmo lento. Sotto al tendone in piazza ci sono altre attività di ristorazione “delocalizzate”.
C’è anche chi viene a Castelluccio per volare, in parapendio o deltaplano: nell’arco del mese di agosto una scuola di volo tedesca propone qui quattro soggiorni di una settimana per altrettanti gruppi di appassionati. Sono stati ospiti negli anni scorsi, alloggeranno anche in questo 2017 alla Valle delle Aquile, che ha nove micro-appartamenti. «Sono andato avanti tra le incertezze» ammette Rodolfo Bertoni, che a causa del terremoto ha perso un altro edificio che ospitava un bar, dentro al borgo medievale, su cui aveva molto investito. «La Regione, la Provincia hanno fatto la loro parte, avevano promesso la strada per fine giugno-inizio luglio e così è stato» continua. Quelli della scuola di volo, legati a Castelluccio, gli hanno confermato le prenotazioni. Con altri turisti Bertoni ha preferito la prudenza (non si sapeva se i tempi per la riapertura della strada sarebbero stati rispettati), ma ora guarda con un po’ di fiducia: c’è una sola strada di accesso – su tre – agibile, ma a Castelluccio si può arrivare senza problemi. Sulla balconata davanti alla Valle delle Aquile, affacciata sulla piana, ci sono due giovani motociclisti, pronti a ripartire dopo una notte passata qui: «Chi viene qui se ne va con le lacrime agli occhi, promettendo che ritornerà».
Rodolfo Bertoni davanti all’ingresso della Valle delle AquileScendo allo slargo all’ingresso del paese, per comprare un paio di prodotti di norcineria da Michele Cieri, un signore dal viso rubizzo e dal fisico possente, che pare il ritratto della rude tenacia di questa zona. Mentre cammino sotto al sole – dopo mezz’ora di discussione con Bertoni – mi accorgo di guardare all’insieme con occhi un po’ diversi. Dove vedevo solo la precarietà del post terremoto (il container, il gazebo, i soldati dal basco blu di guardia alle transenne) noto ora anche la vivacità di chi sta rimettendo in moto un paese, un paese da un centinaio di abitanti ma di grande valore storico e simbolico. Noto i camper in sosta, qualche auto con targa straniera, i tavoli del ristorante Cioccora&Misterino che si riempiono lentamente all’ora di pranzo. È uno scenario ancora un po’ precario, ma per questo insolito, meno da cartolina e più intenso da vivere. Scatto qualche foto al paese ferito, ora che penso di averci riflettuto abbastanza. «Prenda anche una cartolina» mi dice il norcino, da sotto il suo gazebo.
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