Natascia e Raffaella Gazzana: less is more

Il duo laziale pubblica il suo secondo cd con la Ecm di Manfred Eicher. Una ricerca interiore che prende il via da uno dei capolavori della musica francese: la sonata per pianoforte e violino di Cesar Franck

Avarie

Sorelle nella vita e nella musica; figlie del loro tempo. Natascia (violino) e Raffaella (pianoforte) Gazzana sono un duo di punta del catologo della Ecm New Series. Nel 2014 incidono il loro secondo disco (il primo risale al 2011) per l’etichetta tedesca, e il Sunday Times lo inserisce tra i migliori dieci dell’anno.

Hanno talento, successo e grinta. E quel giusto senso dell’equilibro che fa, delle loro interpretazioni, una prova di coraggio e determinazione. Amano le confluenze stilistiche, Natascia e Raffaella. E le rincorrono in tutti i loro repertori, dal vivo e in studio. Accade anche nel loro ultimo disco prodotto sempre da Manfred Eicher, e registrato nel marzo del 2017 nell’Auditorio Stelio Molo RSI di Lugano. Cesar Franck (belga), Maurice Ravel e Olivier Messiaen (francesi) e Gyorgy Ligeti (ungherese) vivono della stessa luce. Diversi gli stili, diverse le tecniche di composizione, uguale lo spirito: sempre un passo avanti rispetto al loro tempo. E proprio di questo parliamo con Natascia.

Prima di tutto: cosa dice, e cosa fa, Eicher quando assiste alle registrazioni?
Con gli artisti ci sa fare, perché conosce lo stress al quale sono sottoposti. Lui ripete sempre la stessa frase: “Less is more”.

Siete arrivate o dovete partire?
Tutte e due le cose (ride). L’ultimo tour lo abbiamo tenuto a Buenos Aires per il Festival Tarkovsky. Un progetto multimediale con la regia del figlio del compositore, Andrey. Il 9 giugno suoneremo all’Odessa Classics in Ucraina, dal 17 al 21 giugno saremo in Svizzera, il 2 luglio al Ravenna Festival (dove terremo un concerto per gli 80 anni del compositore Valentin Silvestrov). Poi, nel mese di maggio, tante presentazioni di questo ultimo cd. Quasi dimenticavo: siamo state anche in Iran.

Due concertiste occidentali in Iran: una scommessa?
Un’esperienza umana bellissima e incredibile. Soprattutto come donne: solitamente è abbastanza raro che si venga invitate. Gli iraniani, però, sono molto interessati alla musica occidentale, e ci hanno chiesto una sola cosa: che il concerto comprendesse anche musiche di Arvo Part.

La vostra frequentazione con compositori viventi dell’Europa dell’Est non si può certo dire “casuale”.
Valetin Silvestrov e Tõnu Kõrvits ci hanno dedicato alcune loro composizioni, vero, però tra chi ha scritto per noi ci sono anche il vietnamita Đặng Hữu Phúc (con un brano ispirato al folclore della sua terra) e l’italo-svizzero Fabio Maffei. Certo, la musica dell’Est – con il suo spiritualismo e l’aurea mistica – è adatta a stemperare l’ansia dei nostri giorni. Contiene un particolare contatto con la natura che noi occidentali stiamo perdendo. E’ musica del tutto speciale.

Volete creare una tradizione d’ascolto dei contemporanei?
È importante crearla perché per Bach, Beethoven, Brahms o Mozart la tradizione va da sé. Ci piace presentare compositori meno eseguiti ma che abbiano uno spessore musicale e umano notevole.

Franck, Ravel, Messiaen e Ligeti non mancano certo di spessore: cosa li accomuna?

Si nutrono dello stesso materiale sonoro, ma poi ognuno di loro lo sviluppa in modo ben distinto secondo le sue peculiarità. La sonata di Cesar Franck è la base; poi si va alla rottura con la tradizione: il brano di Messiaen (“Thème et variations”) è stato composto nel 1932; quello di Ligeti (“Duo”; registrazione in prima mondiale) nel 1946, quando tutta la sua famiglia è stata deportata nei campi di concentramento. E si salvò solo la madre. Eppure è quasi ironico; presenta già tutto quello di cui sarà fatta la sua musica. Tutto il disco è da considerarsi un percorso di evoluzione.

Alfred Brendel diceva che “per suonare Ligeti hai bisogno di tre o cinque mani”: leggenda?
Non ho sentito rimostranze da Raffaella. Che invece, in Messiaen, ha milioni di note da suonare: chapeau a quello che ha saputo fare.

Parliamo dei colori: in questo siete maestre. Come si fa a trovare quelli giusti?
È lo sforzo di tutti i giorni di un artista coscienzioso. Ravel amava dire, “non interpretate la mia musica ma semplicemente suonatela”. E’ per questo che è così preciso nelle annotazioni sullo spartito. Però per ottenere i colori giusti ci vogliono studio, prove, equilibrio e dialogo tra i due strumenti. La musica francese è fatta di colori e di struttura: Messiaen, per esempio…

…Messiaen?
Lì ci sono indicazioni contrastanti: il violino deve suonare un tema piano e il pianoforte, forte. Ottieni l’impasto più corretto attraverso la ricerca. Anche extramusicale.

In che senso?
Attraverso le passioni che coltivi al di fuori delle note: un film di Bergman, una mostra di arte del Novecento, visitare i luoghi dove hanno vissuto gli artisti. Un musicista deve conoscere il mondo. E deve essere curioso.

Deve fare tesoro delle sfumature: suonare Franck aiuta a suonare Ravel?
Li considero affini ma anche diversi. Con loro ci si immerge in una storia simile ma per quanto mi riguarda, come violinista, trovo che lo studio di Ravel sia più difficile di quello di Franck. Maurice scrive questa sonata – “Sonate posthume” – con grande delicatezza. Ma richiede una grande attenzione nel controllo dell’arco. Quella di Franck contiene una visione organistica della musica perché lui, per tutta la vita, ha insegnato organo. La struttura è possente. A volte mia sorella Raffaella mi dice che Franck, nel IV movimento del brano, ha addirittura tentato di rendere l’idea sonora dei pedali dell’organo.

Una sonata che si dice abbia ispirato il personaggio di Vinteuil nella “Ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust: un avanzare continuo in un falso immobilismo?
E’ una continua ispirazione alla bellezza: penso sia stata la prima, o la seconda, tra le sonate che io e Raffaella abbiamo affrontato insieme. Ogni volta che la riprendiamo, negli anni, c’è sempre una ricerca nuova. E quando la suono sono felice perché mi piace il suo lirismo, la sua febbre, la sapienza nella scrittura.

Nel vostro modo di affrontare questa musica, si scopre molto altro: una sensazione di orientalismo. Una sete di indagine interiore?
Sensazione corretta: della musica ci interessa quello che ci sta dietro. Poi Ravel e Messiaen, che all’Oriente hanno sempre dedicato una certa attenzione. La ricerca del tempo oltre il tempo: accade proprio in Messiaen, nell’ultima variazione delle cinque, dove si assiste a questa dilatazione del tempo che quasi rende i suoni isolati. E’ una preghiera. Un rivolgersi a qualcosa che è al di là. Un invito ad un silenzio religioso.

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Pubblicato il 23 Aprile 2018
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