L’amore che non osa
Lord Douglas fu il compagno di Oscar Wilde, ma non tutti sanno che fu un eccellente poeta. Silvio Raffo ha tradotto cinquanta testi finora sconosciuti in Italia, in un elegante volume edito da Elliot

Lord Douglas (Bosie) chiamato da Oscar Wilde “il mio bianco narciso” o “il giovane Domiziano” nell’incanto dei suoi vent’anni, fu il compagno del mitico dandy, come pure la sua rovina. Vissero la loro relazione alla luce del sole, pranzo al Café Royal o al Berkeley, cena all’Hotel Savoy e fine serata al Willi’s (tutti locali à la page). Il rapporto Wilde-Douglas è il più scandaloso nella storia della letteratura inglese.
L’immagine più accreditata di Bosie è quella di un personaggio viziato, incontrollato, capriccioso, disonesto, che vuole vendicarsi delle angherie del padre usando Wilde come strumento per questa rivalsa. Tutto ciò è verissimo ma noi dobbiamo prendere in considerazione il fatto che Bosie è un eccellente letterato. Lord Douglas è noto più per le vicende private con Wilde che per il suo impegno poetico. A dare il meritato risalto alla produzione poetica di Douglas ha pensato Silvio Raffo traducendo cinquanta testi finora sconosciuti in Italia nell’elegante volume “L’amore che non osa” edito da Elliot.
Nella ricca e puntuale prefazione, Raffo mette appunto in evidenza che il valore di un’opera letteraria va considerato indipendentemente dalla qualità della vita privata dell’autore. Nel film The Happy Prince di Rupert Everett, come del resto nei precedenti che illustrano la tragica “love story” culminata con l’incarcerazione di Wilde, non si fa menzione alcuna del fatto che il giovane lord scriva poesie, e di livello elevato.
Raffo fa emergere con perizia le qualità eccellenti di “Bosie” poeta, confermando l’autorevole giudizio di George Bernard Shaw (“Alfred Douglas è il miglior compositore di sonetti dopo Shakespeare”).
In effetti bisogna ammettere che testi come “Due Amori”, la poesia in cui compare il verso che dà il titolo alla raccolta, sono di una perfezione assoluta e superano anche i modelli wildiani, a volte poco convincenti per eccesso di ricercatezza. (Wilde è senza dubbio un grande narratore e drammaturgo, non sempre un grande poeta). Lord Douglas è capace di descrivere la natura del sonetto con una grazia e una precisione degne di un purista.
Per un bel canto occorre il tempo giusto,
trovare un luogo sacro alieno al mondo
e per i sogni un’adeguata gabbia
dove chiuder le angosce come uccelli;
dolce miele gustare e amaro fiele,
con la forma combattere fin quando
sulla pagina conquistata scenda
l’ombra di una Bellezza appena nata.
Questo è il sonetto: tutta la delizia
d’ogni fiore a ogni nuova primavera,
la grazia di un’abbandonata landa,
la gioia d’ogni notte nuvolosa
quando, spiccando dal suo alone grigio,
una luna perfetta vince il vuoto.
Le sue liriche attingono alla mitologia greca e orientale ma anche ad autori italiani sulle orme di Dante, Petrarca e Boccaccio. In alcuni testi spiccano capacità innovative che rimandano ai grandi poeti del Romanticismo inglese sulla scia di Spirit of Delight di Percy Bysshe Shelley, l’angelo ribelle. Si avverte nei suoi versi l’allucinante simmetria di Eternity di William Blake. L’armonia delle forme, i versi cristallini, quasi rigorosi, sorretti da una visione talvolta emblematica, ci riportano all’emozione decantata di William Wordsworth.
Di particolare interesse, e incredibile attualità, il saggio critico “Sulla nuova poesia” riportato in appendice alle traduzioni, un testo che illustra con impeccabile precisione i “difetti” dello scrivere poetico privo di vera ispirazione: parole che dovrebbero leggere e rileggere tutti coloro che scrivono versi senza essere poeti.
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