L’egiziano in fuga: non era un espulso, era stato fermato alla frontiera
Ufficialmente non era mai entrato in Italia: era stato infatti trattenuto "al di qua" della frontiera aeroportuale, in attesa di essere riportato in Africa. Una procedura "ordinaria" che avviene per centinaia di casi all'anno
Il caso del cittadino egiziano fuggito sulle piste di Malpensa riguardava di fatto un accompagnamento alla frontiera, e non un’espulsione. Una persona priva di titoli per entrare in Italia, non un espulso che era stato fermato in Italia.
L’uomo risultava partito da Dakar nella giornata di domenica scorsa e arrivato a Malpensa nel pomeriggio dello stesso giorno in transito: l’aereo è atterrato ma i viaggiatori di fratto non sono mai entrati tecnicamente in Italia perché rimasti nella cosiddetta “area transiti”. Qui l’uomo è stato trovato nel corso di un controllo privo di documenti dalla Polaria, sebbene non fossero previsti controlli di frontiera perché in uscita dell’area Schengen: sulla carta non doveva entrare in Italia, ma appunto solo transitare per ripartire subito dopo con meta Il Cairo, Egitto.
La normalità in questi casi – cioè in assenza di documenti – prevede di seguire le procedure “ICAO”: la persona deve essere munita di nuovi documenti su cui figura nome, cognome e data di nascita, viene “fotosegnalata” e affidata al capitano del volo della compagnia aerea sulla quale è giunto nel nostro Paese. A sua volta il pilota affida la persona alle autorità di pubblica sicurezza che dispone la permanenza dell’ospite in un’area specifica dello scalo, si chiama “area sterile” e la persona rimane fino a che non vi è la possibilità di accompagnarla a bordo di un nuovo volo per il paese di provenienza (e non di origine: in questo caso, infatti, il volo di Air Italy era diretto a Dakar e non verso Il Cairo, destinazione originaria di E.E., l’egiziano fuggito ieri sera).
Quando il volo è disponibile, le autorità di pubblica sicurezza accompagnano il viaggiatore sull’aeromobile. È stato proprio in questo frangente, quando il trentenne era già a bordo, che l’uomo ha colto la palla al balzo ed è saltato dall’aereo dal portellone posteriore.
I respingimenti alla frontiera sono molto frequenti: a volte perché mancano i documenti, a volte perché chi arriva alla frontiera ha documenti e magari anche un visto ma è privo di strumenti per la vita in Italia. Traduzione: deve avere un albergo già pagato, una somma adeguata di denaro, l’invito per un evento spesato. Sono procedure ordinarie svolte per via amministrativa centinaia di volte, senza – normalmente – che la valutazione esca dall’aeroporto: in alcuni casi le procedure di espulsione sono state anche contestate a posteriori (come le due donne già residenti in Italia ed espulse, caso sollevato da Asgi a fine 2018).
Spessissimo si tratta di persone che vivono il rempatrio come un dramma umano, la rinuncia alla fuga magari da un Paese povero o dove si sentono a rischio. Se si dimostrano poco disposti ad accettare il respingimento (magari tentano di sfuggire dall’area sterile), interviene la Polizia di frontiera accompagnandoli fino al posto. In molti casi però i respinti alla frontiera vengono semplicemente imbarcati sul volo di rientro, senza neppure l’intervento della Polizia. Questa volta il passeggero allontanato ha tentato la via più spettacolare, saltando dal portellone e fuggendo sulle piste.
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