Quando a Busto Arsizio c’era aria di rivolta

Nella galleria Boragno Laura Pariani ha presentato il suo ultimo romanzo Il gioco di Santa Oca. Una storia ambientata nel Seicento tra Busto e la valle del Ticino

Generico 2018

Una lezione di storia con il pubblico a bocca aperta ad ascoltare vicende della propria terra. Quella storia popolare, fatta della vita vissuta e non degli intrighi di corte. Laura Pariani la sa raccontare e torna nella sua Busto Arsizio dove è anche ambientato il suo ultimo romanzo: Il gioco di Santa Oca. Pubblicato per la Nave di Teseo è la sua trentaduesima opera e a presentarlo con l’autrice è Nicola Fantini.

Con il romanzo ci si tuffa nel Seicento. “È un argomento e un ambiente caro ai miei primi libri. La storia inizia e termina a Busto Arsizio snodandosi fino alla valle del Ticino. Ci sono tanti comuni di queste parti che facevano parte della brughiera che a quei tempi era una grande foresta. In questa zona della Lombardia stavano cambiando molte cose. Tutte le zone si chiamavano terre e i suoi abitanti erano chiamati terrieri o in modo dispregiativo mangia terra. C’era una situazione terribile con molta povertà. Il Seicento fu un periodo di carestie e di pestilenza che decimarono le popolazioni. Negli archivi di Busto si trovano racconti del prevosto che scrive delle condizioni che vivevano le persone”.

Laura Pariani si immerge nel racconto di quel periodo e con cura snoda storie, aneddoti, tragedie. “Il disastro peggiore fu la guerra. I soldati quando veniva firmata la pace non venivano più pagati, ma continuavano a fare violenze.  La storia che ho scritto inizia nel 1652 durante una delle tante rivolte, quella dei “pitocchi”, in cui si cerca di cambiare le cose in una terra che allora era rassegnata alla dominazione spagnola. I nobili non avevano solo un potere economico e politico ma anche di vita e di morte. Il romanzo non è un documento storico ma è un racconto per far scoprire quale fosse la condizione di vita. Il clero si comportava come i nobili. La preoccupazione non era la rivolta sociale ma le conseguenze di questa”.

Come ogni storia c’è un protagonista intorno a cui ruota tanto. Ne Il gioco di Santa Oca questo è Bonaventura mangiaterra che all’inizio viene portato via da queste terre. Quando ritorna tra Magnago e Buscate sa leggere e ha una versione in volgare della Bibbia. Per lui il cristianesimo è dalla parte dei terrieri perché le sacre scritture dicono che tutti sono uguali davanti a Dio. Le disuguaglianze non devono esistere e questa tesi preoccupa la Chiesa perché è pericoloso dire che un nobile e un terriero sono uguali o che lo sono anche gli uomini e le donne. Bonaventura viene così considerato eretico. “Questa zona  – dice la Pariani – ha vissuto momenti tremendi ma anche di grande speranza”.

La storia viaggia a capitoli alternati con distanza di vent’anni. Nel 1672 si guarda al fallimento della rivolta dei pitocchi.
“La protagonista – prosegue la Pariani – si chiama Pulvara ed è una camminante. In Europa ce ne sono tantissimi. Un vero esercito di vagabondi di diverse nazionalità che parla una lingua oscura. Pulvara è una donna, ma ai tempi della rivolta era un uomo perché era l’unica maniera per lavorare e salvarsi. Erano in tante a vivere una simile condizione in quell’epoca e diverse entravano negli eserciti a combattere. Pulvara era così. Sulla strada del pellegrinaggio a Santiago incontrò Bonaventura che poi la portò sul Ticino”.

Cosa c’entra il gioco di Santa Oca? Si domanderanno i lettori…
“Pulvara fa un viaggio anche dentro se stessa. Ha passato la cinquantina, e a quei tempi era vecchia e quando incontra un ragazzo gli racconta la rivolta dei pitocchi. Si è costruita una sua maniera di pensare e crede che quello che incontra è legato a qualcos’altro e così numera le sue esperienze. È come il gioco dell’oca dove ci sono delle caselle importanti. Alcune imprigionano, altre dove ci si deve fermare, altre dove si deve tornare indietro e ricominciare. È tutto pieno di simboli. Lei non ha i dadi, ma quando cammina conta le cose e il gioco dell’oca le fa compagnia. Il tempo è alla maniera antica e fa il suo viaggio dopo un sogno a cui lei crede. Deve trovare un luogo dove dare sepoltura a Bonaventura le cui spoglie sono rimaste dopo la battaglia”.

La Pariani si avvale anche di un elemento fantastico perché a quei tempi ai poteri della mente tutti ci credevano. Venivano riportate nelle cronache e nessuno se ne stupiva. “Ho cercato di entrare nella mentalità dell’epoca. La grande palude sul Ticino era considerata piena di streghe e c’erano animali che le impersonavano. Qui non venivano bruciate ma si dava la morte d’acqua”.  La lingua è importante e Laura Pariani batte molto su questo punto e prende a prestito Nanni Moretti quando dice che se parli male vivi male.

Pulvara ricorda la figura dello scrittore. Non fa le cose per se, ma per raccontarle agli altri e il camminare è un po’ come iniziare a scrivere. Non sempre sai dove andrai e per essere scrittori bisogna essere testardi.

Verrebbe da dire, bisogna anche avere il piacere di scoprire storie e svelarne gli sviluppi partendo dalla vita autentica delle persone. In questo Laura Pariani non ha davvero niente da imparare e il suo impegno ci consente di conoscere sempre qualcosa di noi.

Marco Giovannelli
marco@varesenews.it

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Pubblicato il 29 Maggio 2019
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