I Jethro Tull e la nostalgia di casa
Non a tutti piaceva fare tour senza sosta

Pare che in quei tempi (ma non solo) la molla che spingeva a diventare un musicista rock fosse il miraggio dei tour e delle relative feste, con ragazze, alcool e droghe di ogni tipo. Non era così per Ian Anderson che, nonostante il suo aspetto da beatnik folle, non nascose mai ad esempio la sua avversione per le droghe, sia con riferimento a sé stesso che ai suoi musicisti. Ed anche sentimentalmente era molto tradizionale, cosa che peraltro spiega abbastanza bene questo disco. Lui si era infatti appena fidanzato con un’impiegata della sua casa discografica che poi avrebbe sposato, e non aveva nessuna voglia di sbattersi in estenuanti tour americani: cosa che invece andava fatta e che certamente avrebbe dato i suoi frutti. Ma nelle composizioni, lo ammise lui stesso, si risente una certa cupezza che contrasta con le atmosfere più solari di Stand Up. E la musica? Direi che è l’album che prepara ai Jethro della fase successiva (prog?) di Aqualung e Thick as a brick, abbandonando del tutto il blues degli esordi. E’ anche l’ultimo disco con l’ottimo bassista Glenn Cornick, quello con la fascia nei capelli, che verrà estromesso dopo il tour proprio per comportamenti eccessivi. Insomma: un altro interessantissimo capitolo nella storia di uno dei migliori gruppi rock di sempre.
Curiosità: alle tastiere in questo album c’è John Evans (la s finale la toglieva e la rimetteva) ancora come esterno: infatti in copertina i JT sono un quartetto. Poi entrerà come membro fisso, e ad esempio è sua la mitica intro di piano di Locomotive Breath. La curiosità è che una delle prime incarnazioni dei Jethro era la John Evan Band, dalla quale poi uscì proprio lui…
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