Una ricerca del Policlinico San Matteo dice che i “debolmente positivi” non infettano

Il professor Giuseppe Remuzzi: "Dire positivo non basta più. Si parla di tamponi positivi che hanno una carica virale molto bassa, ed è molto difficile che pazienti con questo tipo di tamponi possano contagiare"

Fausto Baldanti

“Adesso siamo in una fase in cui molte persone hanno superato l’infezione, sanno di essere state positive e hanno scoperto di essere state colpite da Covid attraverso test sierologici. La domanda che possiamo farci è: se siamo clinicamente guariti e la sintomatologia è scomparsa che significato ha la positività del tampone? La risposta è che molti soggetti hanno una bassa carica di RNA virale“.

Così Fausto Baldanti, responsabile del Laboratorio Virologia Molecolare dell’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) Policlinico San Matteo di Pavia, è intervenuto alla conferenza stampa convocata a Palazzo Lombardia in cui è stato presentato il primo studio italiano su 280 pazienti guariti da Coronoavirus, coordinato dal San Matteo di Pavia, che ha verificato la presenza di virus infettante a bassa carica, in tamponi nasali effettuati su pazienti clinicamente guariti.

All’incontro con i giornalisti hanno partecipato anche il presidente della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo Pavia, Alessandro Venturi e il professor Giuseppe Remuzzi dell’IRCCS Istituto Mario Negri. Si tratta di una ricerca che può avere importanti implicazioni per le strategie di sanità pubblica sia italiane che internazionali.

Il professore Baldanti ha spiegato che l’indagine è stata effettuata in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia Romagna, l’ospedale civile di Piacenza, l’ospedale universitario ‘Le Scotte’ di Siena e l’IRCCS Policlinico di Milano.

 

“Le indagini molecolari – ha chiarito Baldanti – sono costruite in modo da identificare una porzione del genoma (cioè del codice genetico del virus): se si identifica questa porzione, non è detto che il genoma sia integro ossia infettante, oppure frazionato”.

“Lo studio molecolare che presentiamo – ha dichiarato Alessandro Venturi – fa parte del grande lavoro svolto dai grandi ospedali di ricerca della Regione e necessita una contestualizzazione. La Lombardia ha assistito a un coinvolgimento ospedaliero massivo e condiviso, che non ha uguali sul territorio nazionale”.

“I pazienti che stavano in ospedale – ha chiarito Venturi – non potevano stare da nessun’altra parte: questo dobbiamo affermarlo una volta per tutte. La moltiplicazione dei posti letto e delle terapie intensive è dovuta quindi al fatto che essi non potevano stare altrove. Per quanto riguarda l’aspetto epidemiologico, la Lombardia ha adottato lo strumento della quarantena obbligatoria e fiduciaria”.

Il ‘tamponamento a tappeto’ di cui sentiamo parlare da tempo – ha detto ancora – in quel momento era impraticabile. Mentre era praticabile la quarantena anche senza avere effettuato il tampone molecolare. La bontà della scelta è stata confermata dai dati sierologici che hanno accertato che la Lombardia ha messo in quarantena il doppio delle persone che hanno poi evidenziato la malattia”.

Il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, ha sottolineato che “diventa fondamentale quantificare la positività. Dire positivo non basta più. Si parla di tamponi positivi che hanno una carica virale molto bassa, ed è molto difficile che pazienti con questo tipo di tamponi possano contagiare altre persone. Dobbiamo dirlo – ha concluso Remuzzi – perché le persone quando sentono parlare del numero dei contagi in Lombardia, devono sapere che si fa riferimento a tamponi positivi con una carica virale che può anche non essere contagiosa”.

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Pubblicato il 22 Giugno 2020
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