Cat Stevens, un folk rock che piaceva a tutti
Una formula azzeccata con una capacità compositiva notevolissima
Nonostante all‘epoca (ma senza Internet) fossimo dei gran cercatori di dischi, per noi la carriera di Cat Stevens iniziava nel 1970 con Mona Bone Jakon, l’album con Lady D’Arbanville.
In realtà il nostro Steven Demetre Georgiou già nel 1967 aveva pubblicato due album pop: il primo era finito addirittura nella Top Ten inglese, mentre il secondo – con la famosa The first cut is the deepest, della quale esistono tante cover – andò maluccio. Il Cat poi si ammalò di una grave tubercolosi che quasi lo mandò all’altro mondo, e una volta ripresosi decise di dare una svolta alla sua musica, virando verso quelle suggestioni folk-rock che lo resero celebre in tutto il mondo. E col secondo disco della seconda fase, appunto questo Tea for the tillerman, centrò l’obiettivo: successone da entrambe le parti dell’oceano. Gli ingredienti c’erano tutti: una visione del mondo molto pulita, ecologista, con una semplicità evocata sin dalle copertine da libro per bambini (che disegnava lui stesso). Ma il tutto con una qualità compositiva altissima: la tracklist è da paura, tanto che probabilmente, anche se la carriera dura ancora oggi e vedremo altre ottime sue cose, questo resta il suo disco migliore.
Curiosità: in occasione del 50.mo anniversario dell’uscita, Cat Stevens ha voluto reinciderlo con un po’ di cambiamenti, chiamando ancora con sé il fido chitarrista Alun Davies, e vestendo da astronauta il Tillerman della copertina. Com’è? In alcuni casi inutile, negli altri brutto…
La rubrica 50 anni fa la musica
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