Tra ricerca scientifica e problemi etici: le risposte alle domande sul vaccino

Dalle prime inoculazioni alle nuove tecnologie, dalla sperimentazioni alle problematiche etiche legate al costo e alla distribuzione. Gli esperti fanno chiarezza sulle tematiche più discusse in vista dell'arrivo in Italia del vaccino contro il Sars-Cov-2

vaccino meningite

Le prime dosi di vaccino contro il Sars-Cov-2 sono ormai alle porte, ma le domande che lo circondano sono tante e spesso le risposte confuse. Perché i vaccini funzionano? Cos’è un antigene? perché gli esperti studiano la glicoproteina Spike? E come mai in Europa lo stesso vaccino arriverà più tardi rispetto a Regno Unito e Stati Uniti? Mercoledì 17 dicembre un gruppo di esperti ha deciso di fare chiarezza sugli interrogativi legati al mondo dei vaccini in occasione dell’incontro organizzato dall’Università degli studi dell’Insubria.

Vaccini ieri e oggi

Il vaccino per definizione è un preparato che viene introdotto in un organismo (ad esempio l’essere umano) per sviluppare una risposta immunitaria. Il primo vaccino lo si deve a Edward Jenner, che nel 1798 inoculò a un suo paziente del vaiolo bovino (molto simile a quello umano, ma con sintomi più attenuati) e verificò che ciò lo aveva reso immune anche alle altre tipologie di quella malattia. I casi in cui un virus animale sia abbastanza simile alla sua “versione” umana da permettere questo procedimento sono molto rari. Si dovette infatti aspettare quasi cent’anni prima che Louis Pasteur mise a punto il primo vaccino ottenuto attraverso un processo chimico capace di indebolire il ceppo virale.

Da quegli anni lo studio dei vaccini ha fatto passi da gigante, e dal 2017 sono 10 i vaccini obbligatori previsti dal Sistema sanitario nazionale italiano accanto ad altri consigliati come l’antinfluenzale e quello contro il papilloma virus. «Per alcune patologie – spiega Lorenzo Mortara, professore associato del Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della vita dell’Università degli studi dell’Insubria – l’immunità di gregge è necessaria per abbassare la contagiosità. Solo un livello molto alto di persone vaccinate può impedire al virus di raggiungere quelle persone che, ad esempio per motivi di salute, non possono vaccinarsi.  Si è stimato che in tutto il mondo i vaccini salvano 5 vite umane ogni minuto. Se si dovessero fermare le campagne di vaccinazione molte malattie ora sotto controllo come morbillo, poliomelite e pertosse potrebbero tornare a diffondersi».

Nuove armi per malattie vecchie e nuove

Luciano Piubelli, professore associato del Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della vita, è al lavoro per lo sviluppo di un vaccino contro la Tubercolosi (che a differenza del Vaiolo e del Sars-Cov-2 si sviluppa a causa di un batterio e non di un virus). In Europa la Tubercolosi non fa più molta paura, ma con una mortalità particolarmente alta rappresenta un problema soprattutto nell’Africa sub-Sahariana e nel Sud-Est Asiatico. Contro la Tubercolosi ci sono degli antibiotici, ma non si è ancora riusciti a debellarla proprio perché non esiste un vaccino efficacie. L’unico vaccino è stato ideato un centinaio d’anni fa, provoca una risposta parziale nei bambini, ma per gli adulti è del tutto inefficacie.

«L’Oms sottolinea la necessità di un nuovo vaccino – spiega Luciano Piubelli – e noi stiamo tentando di realizzarne uno attraverso la tecnologia del DNA ricombinante. Invece di inoculare parti di batterio ucciso o depotenziato, questa tecnologia permette di sintetizzare direttamente alcune delle sue proteine antigeniche (cioè quelle molecole che il sistema immunitario riconosce come estranee e possibilmente dannose) delle quali conosciamo la sequenza genetica. Queste proteine sviluppano una risposta immunitaria efficacie, e il procedimento per produrle è piuttosto semplice e economico».

Anche i vaccini sviluppati contro il Sars-Cov-2 funzionano in modo simile. «Per questi vaccini – aggiunge Piubelli – i ricercatori si sono basati sulla glicoproteina Spike, che rappresenta il principale antigene riconosciuto. Il nostro dipartimento è riuscito a produrre proprio questa proteina, che viene utilizzata per studiare l’infezione. Essere capaci di produrre questa proteina è molto utile soprattutto a causa del suo altissimo costo commerciale. Si parla di decine di migliaia di dollari per qualche milligrammo».

La sperimentazione

Per circa 150 anni le innovazioni nella messa a punto dei vaccini sono state molto poche, ma dagli anni ’80 in poi si sono fatti grandi progressi e ora sono molte le tecnologie che entrano in gioco nella produzione di un vaccino. Ma come mai se prima di sviluppare un vaccino in situazioni normali possono trascorrere anche 15 anni, per quello contro il Sars-Cov-2 c’è voluto appena un anno?

«Il motivo – afferma Maria Grazia Pizza, senior scientific director vaccini batterici della GSK Vaccines Siena – è economico. Come negli ultimi mesi, i vaccini prima di arrivare sul mercato devono attraversare tre fasi di sperimentazione. Queste fasi sono estremamente costose, e prima di partire con quella successiva, le aziende vogliono essere sicure di aver ottenuto risultato positivi nell’ultima effettuata. Di fronte al Sars-Cov-2, però, Stati e organizzazioni hanno versato forti investimenti alle case farmaceutiche per ammortizzare i rischi legati al fallimento in fase di sperimentazione dei vaccini. Questo ha permesso alle case farmaceutiche di effettuare le tre fasi più o meno contemporaneamente, e ridurre di molto i tempi di sviluppo del vaccino senza rischi elevati».

Come si valuta l’efficacia del vaccino

Per valutare l’efficacia di un vaccino sull’essere umano è necessaria la sperimentazione clinica su dei volontari. Solitamente solo a una parte del campione viene inoculato il vaccino. All’altra viene somministrato un placebo (un preparato senza effetti reali). In questo modo si evita che i volontari dopo aver ricevuto la dose si sentano eccessivamente sicuri, col rischio di adottare comportamenti rischiosi. Dopo un certo periodo di tempo si osserva quanti volontari abbiano contratto la malattia, e in base al rapporto tra i casi emersi rispettivamente tra i vaccinati e e coloro che hanno ricevuto il placebo è possibile calcolare la percentuale di efficacia del virus.

«Il vaccino della Pfizer BionTech – spiega Antonietta Mira, docente ordinario del Dipartimento di Scienza e Alta tecnologia dell’Insubria – è stato testato su un campione di 43.548 volontari da 152 paesi, di ogni fascia d’età, ma metà sotto e metà sopra i 52 anni, e con particolare attenzione alle categorie più deboli. Nel Regno Unito il vaccino è stato autorizzato il 2 dicembre, negli Stati Uniti la Food and Drug Administration ha dato il via libera dal 12 dicembre, mentre l’approvazione dell’Agenzia europea per i medicinali è attesa per la fine dell’anno. Gli esperti hanno infatti voluto attendere per avere maggiori informazioni riguardo gli effetti sui giovani tra i 16 e i 17 anni, così come su possibili allergie».

Rispetto a Pfizer BionTech e Moderna, che hanno preso in considerazione solo i volontari che avessero sviluppato sintomi, il team di Astrazeneca è stato l’unico a includere anche gli asintomatici attraverso l’analisi periodica di un campione limitato di volontari. Per quanto riguarda invece Sputnik, il vaccino sviluppato in Russia dall’Istituto Gamaleya, è difficile fare delle considerazioni vista l’assenza di dati pubblicati sulle riviste scientifiche.

I temi etici legati al vaccino

Col suo arrivo, il vaccino porterà con se anche alcune questioni etiche, tra cui in particolare quelle legate al costo, alla priorità di distribuzione e alla sua obbligatorietà o facoltatività.

«In base – commenta Mario Picozzi, docente Dipartimento di Biotecnologie e Scienze della vita – al documento del Comitato nazionale di Bioetica, il vaccino deve essere un bene comune. Gli Stati dovranno quindi far sì che la sua distribuzione non sia regolata solamente dalle logiche di mercato. Inoltre le case farmaceutiche dovrebbero riconoscere le loro responsabilità civili a fronte dei forti investimenti pubblici che hanno ricevuto».

Ma visto che le prime dosi di vaccino in Italia non saranno sufficienti per tutti, quali categorie dovranno essere vaccinate per prime? «Bisogna seguire – aggiunge Mario Picozzi – i principi di uguaglianza ed equità. Tutte le persone hanno la stessa dignità, ma alcune hanno necessità specifiche. Probabilmente si partirà quindi con le vaccinazioni per medici, infermieri e tutti i lavoratori che entrano a contatto coi malati Covid. A quel punto si vaccineranno le persone più fragili e suscettibili al virus. Dopo di loro i membri delle forze dell’ordine e tutti i lavoratori necessari per i bisogni fondamentali della società. Dopodiché si passerà al resto della popolazione».

Per quanto riguarda invece l’obbligatorietà del vaccino, il Comitato nazionale di Bioetica ritiene che almeno per un primo periodo le vaccinazioni debbano rimanere facoltative. Questo però dipenderà dall’evolversi dell’epidemia, e se la situazione lo dovesse rendere necessario, la vaccinazione potrebbe diventare obbligatoria per alcune categorie.

Alessandro Guglielmi
aleguglielmi97@gmail.com

 

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Pubblicato il 17 Dicembre 2020
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