Ma davvero per il Covid è meglio l’usa e getta? Le cose da sapere sulle stoviglie monouso
L’abbiamo chiesto a Enzo Favoino, coordinatore scientifico di Zero Waste Europe, network europeo che promuove la riduzione dei rifiuti e referente scientifico del progetto "Spesa Sballata"

L’emergenza pandemia ha riportato alla ribalta stoviglie e confezioni usa e getta, che i cittadini stavano sempre più abbandonando per motivi ecologici. Ma è davvero questa la strada per difendersi? E’ vero che per il Covid è meglio usare solo l’usa e getta, o ci sono delle alternative?
L’abbiamo chiesto a Enzo Favoino, coordinatore scientifico di Zero Waste Europe, network europeo (non solo UE) che promuove la riduzione dei rifiuti.
«No. Non è sempre vero, e non lo chiedono nemmeno le norme. C’è stata una fortissima distorsione, in parte voluta, nella comunicazione di queste necessità – a spiegato Favoino, che è referente scientifico dell’innovativo progetto varesino “Spesa Sballata” – E’ umano che l’industria della plastica, che aveva subito colpi mortali negli ultimi tempi, reagisca in questo modo, dicendo che l’usa e getta salverà il mondo: ma non è sempre così».
Favoino innanzitutto precisa: «Non dico che non siano stati fatti degli sbagli, nei primi mesi: a fronte delle crisi, l’emotività tende ragionevolmente a prendere il sopravvento sulla razionalità e si tende a “sovradosare” le precauzioni. Però progressivamente la scienza e la razionalità devono riprendere il loro posto».
Per questo: «Noi ci siamo occupati fin da subito di questo argomento. E abbiamo scoperto presto alcune evidenze: per esempio, che il virus sopravvive sulle diverse superfici per tempi variabili ma non trascurabili. Secondo i risultati pubblicati sulla autorevole rivista New England Journal of Medicine, il virus sopravvive per esempio 24 ore sulla carta e sull’acciaio inossidabile, e 72 ore sulla plastica».
Come primo effetto: «Ho stabilito la buona e precauzionale abitudine che la spesa che faccio la tengo “in quarantena” in modo da abbassare il più possibile la carica virale sugli involucri. Maggiore è il ricorso al monouso, maggiore sarà il volume dei materiali che dall’esterno entrano nella mia sfera personale e quindi il rischio. Mentre per esempio portarsi la propria borraccia personale è la cosa che ti rende piu sicuro».
Altro discorso è quello dei dispositivi di protezione personale: «Il comitato tecnico scientifico, su indicazioni dell’Oms, ha sempre precisato che esiste un obbligo di mascherine chirurgiche monouso ma anche di mascherine di comunità lavabili, anzi sottolinea anche autoprodotte o in tessuto. L’obbligo della mascherina usa e getta c’è solo per usi sanitari: in settori non sanitari la mascherina di comunità va sempre bene. Chi le ha imposte era contro la norma. Anche a scuola siamo riusciti a ottenere la possibilità da parte degli studenti di usare la propria mascherina lavabile, perfettamente a norma: e le mascherine che la scuola risparmia rispetto alla fornitura del ministero, possono essere donate a chi ne ha davvero bisogno, come le RSA, i senzatetto o altro».
Non sono obbligatorie nemmeno le stoviglie usa e getta: «Tra monoporzione e scodellamento dalle casseruole nelle mense viene di fatto sempre utilizzata la monoporzione, ma non è nemmeno in questo caso un obbligo: l’unico requisito ritenuto fondamentale in una mensa è il distanziamento sociale. La monoporzione entra in campo, ed è d’obbligo, solo dove gli spazi della cucina non consentono il distanziamento. Anche in questo caso abbiamo subito sollevato il problema, e abbiamo ottenuto ragione».
In certi casi poi, il monouso può essere addirittura dannoso: «Perchè non solo con il monouso non si hanno meno contatti, ma l’adoperarlo ingenera pure un falso senso di sicurezza: dà l’idea che non sia necessario lavare le mani o mettere i guanti. Con il risultato che un ragazzino può sentirsi sicuro ad aprire un pacco, come una porzione scolastica monuso, e non lavarsi: però per 72 ore questo mantiene una carica virale. Se non si usano i monouso, invece, è necessario monitorare e mantenere sanificati solo i lavoratori della cucina, e non tutta la filiera del confezionamento, prima e dopo: si può cosi avere maggiore controllo della situazione. E se la domanda è: “Ma come faccio a sapere se una stoviglia non monouso è igienizzata?” la risposta è “Se non è sporca, è stata passata in lavastoviglie, cioè a una media temperatura con un agente lavante per più di 30 secondi: quindi è stata igienizzata. Il lavaggio – a mano e in lavastoviglie – con un detergente è più che sufficiente per sanificarla, visto che è piu che sufficiente per sanificare il peggior veicolo del virus, le nostre mani. Poi, il percorso da cucina al tavolo minimizza il rischio di contaminazione, mentre le stoviglie monouso hanno molti piu passaggi e più rischi di contaminazione. Per esempio, l’insalata in busta dentro è pulita ma fuori, sulla busta, è sporca».
Uno dei pochi vantaggi del coronavirus è che è molto infettivo ma poco resistente: «Non solo non resiste alle alte temperature, ma nemmeno alle medie. Un normale lavaggio in una lavastoviglie casalinga lo annulla, e per i vestiti in lavatrice non c’è bisogno di usare i 90 gradi: ne bastano 60 o anche 40, basta che ci sia anche del sapone».
Un’altra questione ambigua è quella dei guanti: «Come le mascherine monouso, i guanti sono importanti solo per gli addetti dei servizi sanitari, secondo le prescrizioni del Comitato Tecnico Scientifico. Di più, negli altri casi potrebbero essere addirittura dannosi: non c’è nulla di più facile che diventino addirittura un veicolo di contagio dall’interno all’esterno. Per il resto, il percorso di mantenimento in bolla sanitaria degli acquisti nei supermercati vede come molto più adatto il gel: ottimo quello erogato con il lettore ottico, ma anche quello manuale va bene lo stesso, perchè poi ci si lava le mani. L’attuale mancanza dei guanti all’entrata dei supermercati non è quindi una diminuzione di attenzione, ma un approccio piu razionale».
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