Super Mario

Il presidente del consiglio incaricato sarà come il suo omonimo eroe dei videogiochi, un rigorista che non sbaglia il rigore?

mario draghi

Sembra che sovente il destino di chi si chiama Mario sia di essere il salvatore della patria. Forse perché l’etimo, incerto, lo fa risalire a Marte, maschio e uomo forte. Ad esempio, nella Roma del secondo secolo avanti Cristo, il senato, viste le ripetute sconfitte militari, si affida a Gaio Mario, percepito come onesto ed estraneo all’oligarchia corrotta dominante. Un Mario tanto importante da venire celebrato dallo stesso Cicerone: «Sia gloria eterna a Mario che due volte liberò l’Italia dall’assedio e dalla paura della servitù».

Nel 2011, Giorgio Napolitano trova in Mario Monti il suo tecnico salvatore per un governo del Presidente. Qui il commento è del cicerone di Gallipoli: «Napolitano è stato un ottimo presidente, ma lì ebbe un eccesso di responsabilità, diciamo così” (Massimo D’Alema, intervista a Millenium, ndr).

Oggi oltre al Milan, che chiama Mario Mandžukić, calciatore croato, per difendere il primo posto in classifica, Sergio Mattarella incarica Mario Draghi per salvare il Recovery Fund, e l’Italia.

Dai tempi di Garibaldi, eroe dei due mondi, gli italiani sembrano affetti dalla sindrome del salvatore della patria, che, in politica, nell’ultimo decennio è una staffetta tra politici e tecnici: a volta un Matteo, d’Arno o di Lambro (Renzi da Firenze, Salvini da Milano), a volte un Mario, di Vellone o di Tevere (Monti da Varese, Draghi da Roma).

Qual è il tratto psicologico sotteso a questa inclinazione? Secondo Magdi Allam, «gli italiani si innamorano facilmente e si disamorano facilmente». https://www.conoscenzealconfine.it/gli-italiani-nella-loro-disperata-ricerca-del-salvatore- della-patria-si-innamorano-facilmente-ma-si-disamorano-facilmente/

A me pare, piuttosto, che sia una malattia planetaria, da Mao a Tito, da Churchill a De Gaulle, gli uomini forti sono un’attrazione magnetica perché è più facile credere che basti cambiare il simbolo del potere, l’allenatore, per risollevare le sorti della squadra, o della nazione.

Preso atto che così è, cerchiamo di capire quale possa essere il vero Draghi- pensiero. È un neokeynesiano integralista? Un riformista moderato? Un pragmatico contabile delle alchimie dei bilanci e degli spread? È uno statista o uno statalista? Se ne sta scrivendo a fiumi per indovinarlo.

Come spesso accade, immersi e distratti dal presente con le sue contingenze e pressioni immediate, la maggioranza possibile, la natura tecnica o politica del nuovo esecutivo, i ministri di cui si circonderà il Prof. What-ever-it-takes, tendiamo a ignorare alcune tracce che già indicano dove scorrerà il segno dei tempi. Qui ne forniamo tre: il liceo, una barca, un rapporto.

Forse non è un caso avere oggi a Roma due gesuiti, di nome Mario. Nato nel 1947 a Roma, Draghi, orfano di madre a 15 anni, frequenta il liceo gesuita di Roma Massimiliano Massimo, con compagni del calibro di Luigi Abete, presidente di Confindustria e Luca Cordero di Montezemolo, ex presidente della Ferrari.

Jorge Mario Bergoglio è il primo pontefice proveniente dalla Compagnia di Gesù. Infatti, i seguaci di Ignazio di Loyola si sono diffusi soprattutto grazie al ministero dell’insegnamento, basato su un metodo rigoroso: la Ratio atque institutio studiorum Societatis Iesu, programma scolastico ufficiale della Compagnia di Gesù.

Questo manuale, composto da 463 regole, codifica un metodo pedagogico imperniato sull’insegnamento del latino e dei classici, l’emulazione tra studenti e la disciplina severa. Per questa ragione i collegi gesuiti sono diventati la fucina delle classi dirigenti di tutto il mondo occidentale, con un metodo meritocratico basato sulla progressione da una classe all’altra in base a obiettivi curricolari predefiniti e l’adozione di un programma chiaro e coerente.

Qualche esempio di altre persone famose che hanno studiato dai gesuiti? Politici come Joseph Goebbels, capo della propaganda nazista, Joseph Stalin e Fidel Castro, dittatori comunisti, Bill Clinton, presidente democratico degli Stati Uniti, ma anche altri grandi comunicatori come Denzel Washington e Alfred Hitchcock. Ma sarebbe un errore grossolano fermarsi alla prima traccia come ci ricorda la citazione dal film Philadelphia: “Questa è l’essenza della discriminazione: il formulare opinioni sugli altri non basate sui loro meriti individuali, quanto alla loro appartenenza ad un gruppo con presunte caratteristiche”.

La scuola li forma e poi evidentemente ognuno fa le sue scelte nella vita. Vediamo bene allora due altre tracce. Una è lontana nel tempo. È il 2008 e Draghi ricopre la carica di governatore della Banca d’Italia. Già si vocifera di una sua possibile ascesa a Palazzo Chigi, ma a stroncarla sul nascere è Francesco Cossiga, il picconatore di Sassari, che, ospite a Uno Mattina, martella: «Un vile affarista! È il liquidatore, dopo la famosa crociera sul Britannia, dell’industria pubblica italiana. Immaginati che cosa farebbe da presidente del consiglio dei ministri. Svenderebbe quel che rimane: Finmeccanica ed Eni».

Nonostante questo episodio sia stato in questi giorni citato dai polemisti dal tweet facile, in realtà anche allora il nostro dimostrava la competenza di cui i politici spesso difettano. Cossiga si riferiva ad un episodio del 2 giugno del 1992, tempo di mani insanguinate di stragi e di mani pulite da ammanettare, quando Draghi sul panfilo Britannia parlava così di privatizzazioni: «La privatizzazione è stata originariamente introdotta come un modo per ridurre il deficit di bilancio. Più tardi abbiamo compreso, e l’abbiamo scritto nel nostro ultimo rapporto quadrimestrale, che la privatizzazione non può essere vista come sostituto del consolidamento fiscale, esattamente come una vendita di asset per un’impresa privata non può essere vista come un modo per ridurre le perdite annuali. Gli incassi delle privatizzazioni dovrebbero andare alla riduzione del debito, non alla riduzione del deficit. Quando un governo vende un asset profittevole, perde tutti i dividendi futuri, ma può ridurre il suo debito complessivo e il servizio del debito. Quindi, la privatizzazione cambia il profilo temporale degli attivi e dei passivi, ma non può essere presentata come una riduzione del deficit, solo come il suo finanziamento».

L’altra traccia è recentissima. A fine 2020, Mario Draghi ha co-firmato il rapporto G30 sulle politiche necessarie per governare la ripresa dichiarando: «I responsabili politici devono agire con urgenza, poiché l’emergente crisi di solvibilità sta già erodendo la solidità del settore privato in molti Paesi. Il problema è peggiore di quanto non appaia in superficie, poiché il massiccio sostegno alla liquidità, e la pura e semplice confusione causata dalla natura senza precedenti di questa crisi, stanno offuscando la percezione sulla reale portata del problema. Abbiamo una montagna di insolvenze, soprattutto di piccole e medie imprese».

Una parola sembra collegare questi punti della cometa Mario Draghi: rigorista. La caratura per colmare la lacuna di credibilità necessaria per assicurarsi le risorse del Next Generation EU. Chiarito chi sia il presidente incaricato, cosa voglia e cosa porti in dote (la reputazione e le relazioni mondiali ed europee che sole possono sbloccare il piano Marshall del 21° secolo), una domanda rimane, ed è più fondamentale. Draghi è un ospite della politica, un corpo estraneo, a rischio rigetto, da parte di un’élite altrettanto abile a contabilizzare tutt’altro: ritorni elettorali, umori viscerali, misurati sui social media, non nei report delle agenzie di rating.

Chi glielo fa fare? La motivazione è allettante, il percorso non è nuovo. Nel 1991 Carlo Azeglio Ciampi che, da governatore della Banca d’Italia, indicò Draghi per la posizione di direttore generale del ministero del tesoro, nel 1993 divenne primo ministro di un governo tecnico e infine nel 1999 presidente della Repubblica…

Sarà in grado Mario Draghi di trasformarsi in un animale politico e mediatico, capace di negoziare non solo le incomprensibili masse monetarie del continente ma anche le imprescindibili poltrone del Parlamento? Sarà Super Mario, come il suo omonimo eroe dei videogiochi, un rigorista che non sbaglia il rigore?

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Pubblicato il 07 Febbraio 2021
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