Una zona economica speciale per il rilancio della provincia di Varese

L'esempio arriva dalla Polonia. Donato Di Gilio, imprenditore e manager varesino che lavora a Varsavia con aziende operanti in Zes, analizza l’ipotesi per lo sviluppo del territorio lanciata dalle istituzioni in relazione al Recovery Fund

Generica 2020

«Idea interessante e da condividere. Nell’est europeo le zone economiche speciali funzionano bene». Donato Di Gilio (foto), imprenditore varesino, ha una esperienza trentennale in Polonia, dove è presidente e amministratore delegato di Core, società di consulenza aziendale con sede a Varsavia.

Il tema di una zona economica speciale per il rilancio e lo sviluppo anche dell’area varesina  ritorna periodicamente al centro del dibattito pubblico, soprattutto quando si parla dell’azione di dumping salariale esercitata dalla Svizzera e della condizione dei lavoratori frontalieri.

Alla forma di concorrenza della Confederazione elvetica si può dunque contrapporre un’azione che faccia leva sullo shock fiscale, obiettivo strategico che è stato ribadito nelle scorse settimane dal Comune di Varese tra le proposte di utilizzo delle risorse che l’Unione europea e l’Italia potrebbero mettere a disposizione del territorio nell’ambito del Recovery Fund.

Di Gilio, nell’attesa di una ridefinizione degli obiettivi e degli strumenti della quota nazionale di Recovery, di una possibile Zes varesina si è tornati a discutere nelle sedi istituzionali e nelle organizzazioni imprenditoriali e sociali cittadine e provinciali.

«Le Zone economiche speciali non sono una novità, ma uno strumento di promozione dello sviluppo economico, industriale e territoriale ideato oltre cinquant’anni fa su iniziativa dell’Organizzazione delle Nazioni unite. Oggi nel mondo se ne contano oltre quattromila, di cui circa novanta in Europa, ed esiste anche Femoza, la federazione mondiale che le rappresenta».

Quali sono gli elementi caratterizzanti, i vantaggi e le opportunità di una Zes?

«Conosco molto bene il sistema delle Zes in Polonia perché mi sono occupato come consulente di seguire e finalizzare oltre cinquanta investimenti in questo Paese. Posso quindi testimoniare che in Polonia questo strumento ha prodotto risultati interessanti, generando di fatto una best practice a livello continentale. Le prime esperienze risalgono agli anni 1996 a seguito di una prima legge specifica che data 1994 . Da allora sono state create quattordici Zes in altrettante specifiche aree. In tempi più recenti, nel 2018, l’approvazione di una nuova, specifica normativa più adeguata alla realtà economica del momento, ha consentito di classificare l’intero territorio polacco come zona economica speciale. La leva fiscale è rimasta il principale elemento strutturale, ma ad essa sono state collegate altre utilità come, ad esempio, una radicale semplificazione e accelerazione burocratica”.

Attrarre investimenti resta l’obiettivo strategico

«Certo, ma non il solo. Oltre ai capitali investiti, l’esperienza documenta consistenti potenzialità di innovazione, qualificazione del personale, potenziamento delle infrastrutture, rapporti con università e con centri di formazione e di ricerca, qualità delle imprese e attività di export. Parlare di valore aggiunto in riferimento a una Zes significa prendere atto di tutti questi fattori di sviluppo economico e sociale con ricadute evidenti sul territorio e sulle aree circostanti».

Quanto hanno pesato i fondi Ue nello sviluppo delle Zes polacche?

«I territori  sono diventati elementi propulsori di uno sviluppo nuovo e particolarmente dinamico. Ciò è particolarmente evidente nelle Zes polacche che hanno più storia come quelle di Katowice, Lodz, Legnica, Wroclaw e Mielec. Ma l’esperienza si sta diffondendo su ampia scala, in un contesto favorito dai governanti locali anche attraverso un utilizzo lungimirante dei fondi europei – la Polonia è dal 2004 nell’Ue il principale beneficiario di questi fondi – che hanno permesso di costruire strade, autostrade e di modernizzare i trasporti ferroviari e di spingere l’acceleratore della digitalizzazione”.

Importare il modello in Italia e a Varese è possibile?

«Possibile, ma non scontato. La realtà italiana oggi è infatti profondamente diversa da quella polacca. Nel nostro Paese non esiste ancora, ad esempio, una legge organica  dedicata specificatamente alle zone economiche speciali e il quadro normativo di riferimento è articolato e basato sul Decreto legge 20 giugno 2017 numero 91, convertito con nella legge 3 agosto 2017 numero 123 nell’ambito degli interventi urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno. Con un decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri varato il 25 gennaio 2018 è stato adottato il Regolamento recante l’istituzione di Zone economiche speciali e con un successivo decreto del direttore generale dell’Agenzia per la coesione territoriale è stata istituita la Segreteria di supporto ai Commissari delle Zes. Attualmente le otto zone attive in Italia gravitano essenzialmente attorno a zone portuali. Infine, nonostante siano state istituite per semplificare, possono ancora richiedere fino a trentadue diverse autorizzazioni per operare. Insomma, siamo potenzialmente all’inizio di un cammino che è possibile e interessante. Importante è compiere il primo passo e avere l’umiltà di seguire l’esempio di chi è partito prima e oggi è avanti e ci indica la strada».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 26 Marzo 2021
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