Matteo Manfron verso la cima del Monte Bianco. “Partendo dal mare, in un giorno”
Il trentenne di Cassano tenterà tra una decina di giorni l'impresa estrema per dislivello: da zero a 4810 metri in meno di 17 ore. Ci lavora da mesi, tra allenamenti e imprevisti da affrontare
Due ricognizioni in bici, una serie di ascese oltre i 4mila metri. Due settimane per arrivare all’impresa: dal mare alla cima del Monte Bianco in un giorno, anzi di meno.
«Alla terza di luglio ci provo» dice Matteo Manfron, trentenne di Cassano Magnago. Vi avevamo raccontato qualche mese fa la sua scommessa, da zero a 4810 metri, in bici e a piedi, in una sfida prima di tutto con se stesso. Ora ci siamo: si entra nel vivo e Matteo ha anche iniziato gli allenamenti in quota, per abituare il fisico in vista dell’ultima ascesa, quella alpinistica verso la vetta del Monte Bianco.
In mezzo – quasi come in un film – anche un imprevisto che ha messo a rischio tutto: una frattura al piede, tralasciata per qualche giorno e poi diagnosticata correttamente. «Sono stato fermo un mese, tra fine maggio e metà giugno» racconta Matteo. «All’inizio mi sono preoccupato, poi l’ho accettato, anche psicologicamente. Sono riuscito comunque ad andare in bici e a lavorare»
Nella seconda metà di giugno ha rafforzato la preparazione sul versante ciclistico: «Ho fatto prove in notturna, per abituarmi alle condizion che incontrerò, visto che una parte del percorso in bici si farà di notte». Prove da 200 km, con 2200 metri di dislivello, avvicinandosi alle condizioni che incontrerà il giorno del tentativo.
In totale in bici dovrà affrontare 295 km, con 3350 metri di dislivello, dal mare fino ai 1700 metri di quota del lago, ovviamente con una serie di “gran premi della montagna” intermedi, fin dalla prima ascesa dal mare fino al Turchino.
«Ho fatto una ricognizione e mezza del tracciato, nel senso che l’ho fatto una volta interamente e poi ho rifatto il tratto da Aosta verso il lago Combal, il più impegnativo».
Matteo prepara l’impresa: dal mare alla cima del Monte Bianco in 16 ore
Partenza dalla periferia Ovest di Genova, in riva al mare: «L’uscita da Voltri mi è parsa facile, più di quanto mi aspettassi. Dopo il Turchino poi c’è una frana verso Ovada, farò una deviazione che non era prevista, con salita che arriva al 7-9%, che comunque si aggiunge al dislivello complessivo». Dopo il primo valico, si scende nella vasta pianura piemontese, «lì si va veloci, si fa 35/38 all’ora, ma è controvento ed tutta energia in più che se ne va». A Ivrea si ricomincia con i dislivelli: «Tra Ivrea e Aosta ci sono molti saliscendi, poi inizia la costante ascesa verso Courmayeur, si risale la Val Veny, iniziano le pendenze più significative: 8-9%, poi nell’ultimo tratto verso il Combal si arriva a punte del 17% e con il fondo sterrato».
Al lago Combal Manfron lascerà la bicicletta e nel cuore della notte inizierà l’ascesa a piedi: prima su sentiero, poi in un vero ambiente alpinistico, fino alla cima.
E qui si apre l’altra fase di preparazione, quella appunto podistica e alpinistica, avviata già giugno e a cui è ora dedicato questo periodo di giugno: «Una domenica ho iniziato sommando un’ora e mezza di corsa e scalinate con 700 metri di dislivello. Poi sono passato a fare tre volte la scalinata del Campo dei Fiori. Vale per i 1400 metri di dislivello complessivi, ma soprattutto bisogna abituarsi al gesto» racconta ancora il trentenne di Cassano.
Da lunedì 5 a venerdì 9 luglio è in corso il periodo in alta quota, previsto «al rifugio Torino a 3400 metri, con la guida alpina Denis Trento». Erano previste due ascese al Monte Bianco, «una più tecnica per studiare il percorso e poi una più veloce per studiare il passo», ma il maltempo in zona ha costretto a modificare i piani: dopo tre giorni al Torino Manfron e Denis Trento hanno dovuto “ripiegare” sul Gran Paradiso, con base al Refuge Tetras Lyre.
Sabato e domenica riprenderà in mano la bici, «per sfruttare la permanenza in quota». Poi una «settimana di scarico», per riposare il fisico in vista del tentativo ufficiale. Data ancora non fissata, se non che sarà nella terza di luglio: «Saprò tre giorni prima se si potrà fare, dopo un confronto con la guida alpina sulle condizioni meteo».
Aumenta anche la concentrazione, si inizia a capire esattamente cosa significhi affrontare così tanto dislivello in un giorno solo: «Voglio gestirmi sulla base delle mie sensazioni. Mi sono regolato sul cardiofrequenzimetro, ma quel giorno mi farò guidare dalle sensazioni: c’è un carico emotivo, è quel giorno che conta, quel giorno capirà come starà. Come tabella di marcia mi baserò sugli orari del record precedente. Partirò intorno alle 16.30, supponendo 10-11 ore per il tratto in bicicletta, arriverò al lago Combal nel cuore della notte, con un momento di pausa per cambio vestiario, massaggi, alimentazione. Dopo mezz’ora si parte per la vetta».
Ovviamente avrà un team a seguirlo. «Abbiamo un furgone di appoggio che è marchiato Edam (l’azienda gallaratese per cui lavora e che fa da main sponsor) e dagli altri sponsor, ci sarà una squadra Edam di appoggio, un meccanico e il fisioterapista Mattia Bizzaro. Oltre a un team di documentaristi che mi stanno seguendo».
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Il tempo da battere – in questo record unico al mondo – è di 16 ore 36’.
Ma conta davvero solo quel dato? Forse no. Matteo Manfron è un personaggio anche curioso, lontano dall’idea dell’atleta superman: ad esempio gli si illuminano gli occhi mentre racconta il lavoro di grafica fatto per disegnare la livrea del furgone appoggio, come se fosse un pezzo centrale di questa strana impresa.
E lo è, se si guarda a un’altra prospettiva, non solo dello sport estremo.
«La prima vittoria è stato aver ottenuto la fiducia di così tante persone. Partendo da una presentazione power point fatta in Edam, l’azienda per cui lavoro, sono arrivato ad avere il sostegno di tante persone, che sento davvero vicine. Sono un nessuno, ma tanti mi hanno dato fiducia».
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