Un ricordo di Giovanni Gentile

Personaggio discutibile per la sua stringente adesione al Fascismo, il filosofo del Duce fu una mente geniale ed ebbe meriti spesso dimenticati

Arte - Mostre

Uno dei più importanti filosofi del Novecento era figlio di un farmacista e di un’insegnante: nato nel 1875 in provincia di Trapani, Giovanni Gentile fu ammesso alla Facoltà di Lettere e Filosofia della Scuola Normale Superiore di Pisa dove si laureò non appena compiuti i 22 anni. Professore incaricato al Classico di Campobasso pubblicò subito “La Filosofia di Marx” (1899) e “L’insegnamento della Filosofia nei Licei” (1900). Divenne poi stretto collaboratore de “La Critica”, rivista fondata nel 1903 dall’amico Benedetto Croce. Nel 1914 diviene ordinario presso la cattedra di filosofia della Normale e nel 1916 pubblica il suo lavoro filosofico più significativo, la “Teoria generale dello spirito come atto puro” con il quale formalizza il suo pensiero.

Nel 1920 entra in politica e con il primo governo Mussolini ritorna al dicastero della Pubblica Istruzione come ministro indipendente, per completare l’importante riforma della scuola italiana che rivolse una particolare attenzione alla strutturazione dell’istruzione secondaria superiore. Con la Riforma Gentile, che rimarrà variata ben poco fino agli anni Duemila, il filosofo trovò piena soddisfazione per le sue idee, maturando in questo modo l’adesione al Fascismo. Altro importante capitolo del suo percorso è la direzione scientifica, a partire dal 1925, dell’Istituto per l’Enciclopedia Italiana, meglio noto come Enciclopedia Treccani: un’opera questa che fu stato dell’arte e vero monumento alla cultura del tempo, presente ancora oggi anche sul web. Sempre nel ‘25 esce il suo “Manifesto degli intellettuali fascisti” che lo porterà definitivamente dalla parte del regime totalitario appena imposto dal dittatore di Predappio. La parabola politica di Gentile culminò nel 1929, quando si professò contrario ai Patti Lateranensi e pubblicò “Origini e dottrina del fascismo”, rimarcando in questo modo una posizione politica che lo segnerà per sempre.

Il “Sommario di pedagogia come scienza filosofica” (1913) deve invece essere una delle sue opere migliori: le pagine da lì tratte e riportate da H.A. Cavallera sono forse fra le più intense scritte dal giovane studioso. Egli concepì l’educazione come processo dello spirito, quell’azione cioè in cui uno spirito promuove lo sviluppo di un altro spirito: particolarmente limpidi sono i suoi ragionamenti sull’apprendimento, dedicati alla ricerca continua ed all’idea che nello studio non esista mai nulla di definitivo. La realtà si muta – dice Gentile – cioè noi stessi ci mutiamo. Se l’educazione è formazione dello spirito, infatti, essa non ha un termine né un principio definito. Le lauree sono dunque come le etichette dei barattoli, i quali possono dirsi vuoti se contengono al loro interno solo ciò che dice la scritta. Ogni essere, quindi, è un processo spirituale in svolgimento e per questo – ricorda Gentile – sovente lo studio porta alla percezione di un’ignoranza insanabile, mentre la boria di chi si dice dotto è la più sicura insegna di una conoscenza fossile.

Alla vicenda del filosofo di Castelvetrano non mancò la coerenza: dopo i fatti dell’estate 1943 egli aderì alla Repubblica Sociale Italiana, voluta da Mussolini e sostenuta militarmente da Hitler. Oramai quasi settantenne e probabilmente consapevole che la guerra era perduta, egli rifiutò la scorta armata che gli era stata offerta, divenendo in questo modo facile bersaglio per la Resistenza.

Morì a Firenze, assassinato senza alcuna destrezza, tornando a casa la mattina del 15 aprile 1944.

Riferimenti bibliografici:

Hervé A. Cavallera (a cura di)  – “Gentile. La pedagogia, la scuola, la cultura” – Scholé (2019)

Valerio Benedetti – “Riprendersi Giovanni Gentile” – AGA Editrice (2014)

Gennaro Sasso – “Giovanni Gentile” in Dizionario Biografico – Treccani.it (2000)

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Pubblicato il 10 Settembre 2021
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