“Più risorse, più territorio e più programmazione: ecco come cambia la sanità della Lombardia”

Il Presidente della Commissione Sanità regionale Emanuele Monti spiega la nuova legge di modifica della 23 che sarà votata la prossima settimana. I punti critici e le soluzioni previste per migliorare assistenza e prevenzione

emanuele monti

Dopo un dibattito in aula iniziato lo scorso 10 novembre, settimana prossima il Consiglio regionale si esprimerà sulla nuova legge sanitaria per la Lombardia. Si tratta di una modifica della legge 23 che recepisce i nuovi indicatori ministeriali e che verrà finanziata con i fondi del PNRR. Cosa cambierà per i cittadini? Lo abbiamo chiesto ai due principali esponenti del Varesotto impegnati nel dibattito d’aula: il Presidente della Commissione sanità Emanuele Monti e al capogruppo del PD in commissione Samuele Astuti ( leggi l’intervista) . 

La prima parte dell’intervista è al Presidente Monti


Presidente Monti, la Legge 23 del 2015 annunciata come innovativa ha, nella pratica, portato a pochi e non del tutto positivi cambiamenti, perchè questa legge che state per approvare cambierà davvero l’attuale sistema?
Nel 2015 la Lombardia si era dotata di una nuova legge di riforma che ponesse al centro la presa in carico della cronicità, come era stato chiesto dal Governo centrale. Si tratta di un settore che coinvolte il 30% dei lombardi ma che assorbe l’80% della spesa pubblica sanitaria. Il modello che avevamo individuato era corretto tant’è che Agenas lo ha valutato positivamente.  Poi, effettivamente, avrebbe potuto funzionare meglio, si erano create aspettative eccessive. Di fatto, quel sistema poggiava su finanziamenti incrementali da parte dello Stato che non sono arrivati. Oggi la situazione è profondamente diversa. Questa legge non rivoluziona ma migliora la 23 e lo fa anche grazie a contributi certi; 1,2 miliardi del PNRR a cui la Lombardia, grazie ai suoi conti in odine, aggiunge ulteriori 800 milioni per un totale di 2 milidi di euro. 

Parliamo di fondi non di personale, che è la vera nota dolente di qualsiasi potenziamento. Oggi non ci sono medici e anche gli infermieri sono in numero sottodimensionato
È un tema che è stato posto al Governo da tutte le regioni. L’impianto, per funzionare, ha bisogno di un incremento dell’attuale spesa che varia tra il 4 e il 6% da una stima dell’università Bocconi, invece oggi a bilancio si prevede un aumento dell’1,7%   

Stando così le cose, come volete migliorare questo modello sanitario?
Innanzitutto potenziando la governance territoriale. Mi spiego: oggi abbiamo un distretto sanitario per ogni 100.000 abitanti. Li moltiplichiamo, ne realizziamo uno ogni 50.000 abitanti con le aziende socio sanitarie territoriali che diventeranno il vero regista dell’integrazione tra territorio e ospedale. Il secondo punto fondamentale sono le cure primarie: dobbiamo puntare di più sulla telemedicina e sulla medicina di gruppo. Coinvolgiamo i medici di medicina territoriali perchè offrano veri punti erogativi di prestazioni a bassa intensità. 

Cosa intende esattamente?
Un ECG o un “fondus oculis”, per esempio. Esami che attualmente vengono fatti solo in ambito ospedaliero con lunghe liste d’attesa. Potenziamo gli ambulatori territoriali, favorendo la costituzione di aggregazioni di medici. Regione ci metterà la tecnologia e definirà una tariffazione specifica per questi medici. Favoriamo i curanti nel loro lavoro di dottore e alleggeriamo la parte burocratica. Così si creano presidi sanitari diffusi capillarmente in un’ottica di integrazione in rete con l’ospedale. 

Far dialogare i medici del territorio e quelli dell’ospedale? Fino a oggi non si è riusciti e la pandemia ne è stato un esempio
Usciamo da queste logiche contrapposte. Dove c’è stata collaborazione, abbiamo avuto le migliori pratiche di gestione del Covid. Quella è la formula a cui si deve tendere. Solo l’integrazione permetterà di andare verso il superamento delle attuali criticità. Regione incentiva la nuova cultura della presa in carico.

E come si colloca il privato in questo discorso?
Oggi, la scelta che la Lombardia fece anni fa è condivisa da tutti e a tutti i livelli. Non c’è regione che non ammetta la virtuosità della scelta. È chiaro che ci sono criticità e il modello che vogliamo varare lo chiamiamo “3.0” perché siamo arrivati a un punto in cui tutti gli attori devono condividere diritti e doveri. E lo si farà con una definizione centrale dei bisogni e, conseguentemente, dell’offerta di cura. Non ci sarà più una divisione del budget basata sull’offerta semplice, ma sul tipo di offerta, studiata in linea con la domanda dell’utenza. Questo approccio ha la finalità di ridurre le liste di attesa, lo abbiamo fatto con una sperimentazione nel 2019 stanziando 20 milioni di euro e quest’anno con ulteriori 100 milioni. È comunque un cambio di passo notevole e l’evoluzione potrà richiedere un po’ di tempo, immagino tra i 3 e i 5 anni.

Il nuovo modello porterà anche a una revisione della rete ospedaliera come previsto dal decreto Ministeriale 70? Non c’è mai stato il coraggio di costruire una efficiente rete e oggi ne paghiamo le conseguenze.
Il tema non è tagliare, chiudere o accorpare. Il tema è potenziare. La spesa sanitaria in Italia è tra le più basse d’Europa: è il 50% di quella della Germania, meno del 60% di quella della Francia. Noi non vogliamo togliere ma aggiungere, tutti gli indicatori delle prestazioni ospedaliere sono oltre l’80% dei risultati. Il modello, se mai, è come quello attuato ad Angera con il suo punto nascita, dove si è avviato un percorso innovativo che oggi ci viene copiato anche in altre regioni. Su questa partita noi chiediamo al Governo centrale di sostenerci. 

Tutti gli indicatori saranno molto positivi ma c’è un tema di bisogno di salute che non si può ignorare. Le liste d’attesa sono lunghissime, si parla di prevenzione poi non ci sono strumenti o occasioni per farla.
Certo, la prevenzione è un tema importante e delicato. Partiamo dalla considerazione che nessuno ha la bacchetta magica per risolvere la situazione. Regione Lombardia ha individuato 4 diverse soluzioni. La prima è quella che ho raccontato prima ed è investire sulla medicina del territorio favorendo il potenziamento tecnologico e di prestazioni. La seconda è la telemedicina con cui è possibile seguire a distanza, monitorare così da evitare esami diagnostici inutili, poi c’è il tema, anche questo già detto, del privato che deve allinearsi al bisogno di salute che esprime il suo territorio. Ultimo, ma non meno importante, un nuovo CUP digitale e unico, che metta insieme tutte le agende regionali: in questo modo si evita il 23% di doppie o triple prenotazioni. Il sistema centralizzato sarà in grado di ottimizzare l’incontro di domanda di salute e offerta, senza più sprechi. Il sistema è già a buon punto.
A questo discorso va aggiunto il nuovo modello sanitario che andiamo ad approvare e che prevede l’istituzione di Case e Ospedali della Salute per aumentare l’offerta sanitaria.

Il potenziamento è già in atto e le diverse Asst hanno già pronto il piano di sviluppo. C’è un solo problema: al momento considerano solo il proprio personale, medici, infermieri, tecnici che si sposteranno sul territorio lasciando sguarnito l’’ospedale. La risolviamo così?
Noi non possiamo ritardare l’istituzione delle case comunità che sono presidi intermedi. Lavoreremo per coinvolgere quanto più possibile il personale dislocato oggi sul territorio. Noi non pensiamo che queste figure vadano assunte ma coinvolte. Useremo diversi strumenti per responsabilizzare gli attori coinvolti. Ci sono già cooperative di medici che hanno dato disponibilità a lavorare al nuovo modello. Sono fiducioso perchè la Lombardia oggi, grazie alla sua azione oculata, ha i conti perfettamente a posto e può permettersi di investire sulla sanità e su tutti coloro che lavorano per la salute dei lombardi.  

Alessandra Toni
alessandra.toni@varesenews.it

Sono una redattrice anziana, protagonista della grande crescita di questa testata. La nostra forza sono i lettori a cui chiediamo un patto di alleanza per continuare a crescere insieme.

Pubblicato il 24 Novembre 2021
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