Il cronista che raccontò Mani Pulite: “Spazzò via un sistema ma ne paghiamo le conseguenze”

Michele Brambilla, direttore del Quotidiano Nazionale e de il Resto del Carlino, è stato tra i primi cronisti a raccontare dalle colonne del Corriere della Sera l’inchiesta che pose fine alla prima repubblica

michele brambilla

Dalle manette a Mario Chiesa all’Italia del 2022 incapace di eleggere un nuovo Presidente della Repubblica. Dal sistema di potere corrotto che si sgretolò alla cultura dell’uno vale uno che distrugge intermediazioni e competenze.

Michele Brambilla, oggi direttore del Quotidiano Nazionale e de il Resto del Carlino, è stato tra i primi cronisti a raccontare, dalle colonne del Corriere della Sera, l’inchiesta che pose fine alla prima repubblica e che oggi rivive il suo trentennale: Tangentopoli.

Direttore, oggi ricorre l’anniversario dell’arresto di Mario Chiesa, simbolo dell’inizio di Tangentopoli, ma da dove cominciò quella storia?

Bisogna ricostruire l’ambiente della Milano di quegli anni, quelli del massimo potere e splendore del PSI di Craxi che governava in tutta italia perché con il suo 10%-11% era l’ago della bilancia di molti equilibri. Questo potere, come tutti i poteri, ad un certo punto si era adagiato sugli allori: erano impuniti. Tutti sapeva che c’era corruzione a Milano, era un sistema di tangenti ormai da tutti accettato e subito e il Partito socialista, che era quello che governava di più, su questo era anche il più chiacchierato.

Finché non arriva Antonio Di Pietro..

C’erano state diverse inchieste negli anni precedenti ma nessuna che si era avvicinata a scalfire quel sistema. Fino a quando nel 1987 arrivò alla procura di Milano un ex poliziotto che di nome faceva Antonio Di Dietro, uno che non parlava bene, non era un prof di diritto ma che era un investigatore straordinario. All’inizio fu anche preso in giro dai colleghi perché usava il computer, in un’epoca in cui le inchieste si muovevano solo su faldoni e documenti cartacei. Lui invece si face una squadra di carabinieri e informatici che memorizzavano le inchieste e incrociavano i dati. Partì dalla piccola corruzione, dalle tangenti sulle merendine delle scuole comunali o dello scandalo delle patenti facili, dove si fece una rete di esperienza nel settore. Poi si imbattè in Luca Magni, piccolo imprenditore di Monza che gli disse che Mario Chiesa gli aveva chiesto una tangente di 14 milioni in cambio dell’appalto di pulizie alla Baggina. Fu Di Pietro a mandarlo da Chiesa imbottito di microfoni e a far scattare il blitz che portò all’arresto e alla famosa frase: “lo abbiamo preso con le mani nella marmellata”.

Perché fu diverso dagli altri quell’arresto?

Mi ricordo molto bene quel giorno. Io facevo il cronista di giudiziaria e quella era stata una giornata molto moscia e scarica di notizie. Mi chiamò Ettore Botti, che era il capocronista, e mi disse di correre perché avevano arrestato Chiesa. Una notizia che giudicai impossibile: Mario Chiesa era l’uomo che poteva disporre dell’immenso patrimonio immobiliare del Pio Albergo Trivulzio, colui che gestiva le case degli ospiti lasciate in eredità. Una ricchezza enorme che Chiesa usava per distribuire favori. La notizia dell’arresto parve incredibile, era un intoccabile.

Un arresto eccellente che bastò a scatenare l’effetto domino?

No. E mi fanno ridere quelli che riferendosi a Tangentopoli parlano di operazione decisa a tavolino. La verità è che dopo quell’arresto per due mesi non successe niente. La vera svolta la diede un imprevisto: le elezioni di aprile dove i partiti del pentapartito crollarono. Ci fu un’avanzata clamorosa della Lega e quello fu il segnale di un malcontento che avanzava soprattutto al nord. La gente era stufa dell’arroganza di quel potere e della corruzione. Anche questo diede alla magistratura il coraggio di andare avanti. Il colpo di grazia poi lo diedero gli imprenditori che erano stufi di pagare il pizzo e si misero in fila da Di Pietro per denunciare. Era semplicemente finita un’epoca. Le cose umane finiscono, è finito l’impero asburgico, quello romano e gli altri grandi sistemi della storia: era finito anche quello del pentapartito. Un sistema logoro, i cui protagonisti avevano perso lo spirito di servizio.

Con quali effetti?

Io mi ricordo l’arroganza del PSI di Milano di allora, pensavano di dominare tutto. È stato giusto spazzare via la corruzione ma l’effetto negativo è che ad un certo punto è iniziata quella cosa orribile di dividere tutto in buoni e cattivi e la verità in bianco e nero. I politici divennero tutti dei corrotti e i magistrati tutti dei buoni. Lì si è anche instaurato nel popolo italiano il virus dell’autoassoluzione. Non erano solo i politici a rubare e comunque anche in quel caso le cose erano più complesse: c’erano anche legittimi costi della politica che non si poteva sostenere, c’erano persone perbene che dedicavano ancora la propria passione alla cosa pubblica. Tutto fu spazzato via: il bambino e l’acqua sporca.

Facciamo i conti ancora oggi con questo?

Più che mai. Guardiamo alle recenti elezioni del Presidente della Repubblica: aldilà della rielezione di Mattarella il vero fatto è che non si trova un politico papabile per quel ruolo tra quelli della seconda repubblica. La politica è stata squalificata, a furia di dire che tutto va male la gente non va più a votare. C’è un fil rouge che collega questa cosa alla stagione di Tangentopoli. Allora è cominciata la disintermediazione in qualunque campo. I politici non servono più, i giornalisti non servono più, la competenza è cancellata. In politica, così come in materie più complesse come abbiamo visto all’interno della pandemia. Umberto Eco diceva che con i social il parere di un ubriaco al bar vale come di quello di un premio Nobel. Purtroppo penso che talvolta valga anche di più.

Quale l’errore principale di quella stagione, pensando anche a chi l’ha raccontata?

L’errore che fecero i direttori di giornali fu quello di appaltare l’inchiesta solo ai cronisti giudiziari. Bisognava capire che ad un certo punto non era più solo un’inchiesta giudiziaria, era più complessa da affrontare e andava fatto sotto più punti di vista: stava cambiando il costume, la cultura, la politica. Bisognava affrontarlo senza ridursi al solito bipolarismo tra ladri e onesti, giustizialisti e garantisti. Questo ci ha lasciato molti frutti marci con i quali oggi dobbiamo fare i conti.

Tomaso Bassani
tomaso.bassani@varesenews.it

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Pubblicato il 17 Febbraio 2022
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