Paesi e città: dove sono i rifugiati dell’Ucraina nel Varesotto

I numeri dell’accoglienza continuano ad aumentare di giorno in giorno e non è ancora disponibile un dato preciso Comune per Comune, ma ecco una prima panoramica. L'aiuto è ancora soprattutto in capo alle famiglie che ospitano

accoglienza ucraina

La provincia di Varese ha dimostrato fin da subito una grande solidarietà nell’accoglienza dei profughi ucraini in fuga dall’aggressione russa in patria.
Comuni, associazioni e singole famiglie hanno aperto le proprie porte per accogliere soprattutto le donne, i bambini e gli anziani che sono riusciti a varcare la frontiera e trovare un trasporto fino a qui.

I numeri dell’accoglienza continuano ad aumentare di giorno in giorno e non è ancora disponibile un dato preciso comune per comune. Tutti i profughi devono essere registrati attraverso la questura per ottenere lo status di rifugiato ed entrare nei servizi in via di organizzazione per i bisogni primari.

Proprio venerdì 18 marzo si è costituita la cabina di regia in Prefettura con il coinvolgimento degli enti territoriali, sanitari, scolastici e le forze dell’ordine con l’obiettivo di creare un coordinamento più coeso anche nella condivisione dei dati.

Sui numeri dell’accoglienza sappiamo per ora che ATS Insubria, competente sul Varesotto e sul Comasco, ha preso in carico 1993 persone.
Per una panoramica che entri più nel dettaglio degli ucraini ospitati nelle singole realtà comunali abbiamo raccolto alcuni dati attraverso i sindaci. Non si tratta di una panoramica completa ma comunque in grado di restituire in parte lo sforzo che stanno facendo amministrazioni comunali e associazioni impegnate nell’accoglienza (ATTENZIONE: NELL’ELENCO NON SONO COMPRESI TUTTI I COMUNI. PER COMUNICARE I DATI LE AMMINISTRAZIONI POSSONO CONTATTARE LA REDAZIONE ALL’INDIRIZZO E-MAIL redazione@varesenews.it).

Una accoglienza da costruire

La maggior parte delle persone oggi sono ospiti di parenti connazionali o di famiglie italiane o, in misura minore, direttamente di associazioni o parrocchie.

Oggi le famiglie (ucraine o italiane che siano) o le realtà che accolgono si fanno carico di tutti i costi. Molte stanno ricevendo aiuti direttamente da associazioni o Caritas o nuclei di Protezione Civile che si stanno impegnando direttamente: abbiamo raccontato diffusamente, ad esempio, l’impegno di Anna Sofia e di Noi con Voi di Samarate. È una rete informale, d’emergenza, che però andrà strutturata per dare continuità: non si sa infatti per quanto tempo le persone resteranno sul territorio.

Si sono attivate anche diverse parrocchie e in alcuni casi sono state messe a disposizione direttamente strutture di proprietà, come si sta facendo ad esempio in queste ore a Gallarate (qui). In alcuni casi anche i Comuni hanno trovato strutture, come a Cocquio Trevisago dove è stato predisposto l’ex alloggio del capostazione, nella disponibilità dell’ente pubblico.
In altri casi i Comuni hanno trovato camere d’albergo, ma ovviamente questa non è una sistemazione sostenibile a lungo termine dal punto di vista economico: per questo si attende con urgenza un dispositivo nazionale, sollecitato al governo anche dalle maggiori città d’Italia.

L’altro possibile canale di accoglienza è quello legato ai CAS, i Centri di Accoglienza Straordinari gestiti da cooperative o società, come avvenuto per altre crisi umanitarie. Ad oggi le famiglie ucraine non sono state inserite in questi percorsi, come conferma ad esempio Roberto Sartori, di Exodus da Gallarate. Diverse realtà sono disponibili a lavorare e si stanno attivando per aumentare la ricettività, dovendo garantire spazi adeguati per le famiglie: «Noi stiamo cercando appartamenti per una ventina di posti complessivi per le accoglienze». L’altro modello già in uso per altre emergenze-rifugiati era quella degli Sprar, l’accoglienza diffusa che coinvolge direttamente anche il Comune (per esempio Besozzo ha un progetto Sprar)

Un altro versante è quello dell’accoglienza scolastica, che è stata progressivamente attivata in diverse località, per i bambini e in alcuni casi anche per i ragazzi più grandi (comunque minorenni, perché altrimenti vengono trattenuti come soldati).

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 18 Marzo 2022
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