A Legnano Enrico Vanzini, sopravvissuto a Dachau: “In Ucraina una guerra Suicida”
Il cittadino benemerito di Fagnano Olona ha portato la sua preziosa testimonianza agli studenti dell'Istituto Dell'Acqua di Legnano: "Ragazzi bisogna sempre avere tanta volontà"

Enrico Vanzini, sopravvissuto al campo di sterminio di Dachau, dal 25 aprile cittadino benemerito di Fagnano Olona, la sua città di origine (ora vive nel Padovano), ha portato questa mattina (26 aprile) la sua preziosa testimonianza agli studenti dell’Istituto Dell’Acqua di Legnano. In aula magna è arrivato stanco dopo un fine settimana di cerimonie e incontri – a novembre Enrico compirà 100 anni – ma questo non gli ha impedito di raccontare ai giovani la sua esperienza di deportato, sopravvissuto a torture, fame e dolore, grazie a una fede granitica e a una incredibile forza di volontà che lo ha sempre tenuto aggrappato alla vita.
Internato militare italiano, Enrico Vanzini, dopo l’armistizio del 13 settembre del ’43 fu mandato a lavorare in una fabbrica di armi in Germania e scampato alle bombe e alla fucilazione – «in quel momento mi chiesero se volevo la benda agli occhi, ma io dissi di no perchè volevo godere l’ultimo raggio di sole» – fu portato a Dachau. Qui gli è toccato il lavoro più duro, quello di “sonderkommando“, l’addetto ai forni crematori dove era costretto a portare i morti uccisi nelle camere a gas. Avrebbero fatto sparire anche lui se non fossero arrivati in tempo gli americani: nessuno doveva essere testimone di quell’orrore.

«Ci portavano zuppe di vermi e lucertole, ci veniva la nausea ma dovevamo tenerci in piedi. Alla domenica, quando non si lavorava ci mandavano in giro a portare i carri carichi di morti: li portavano ai forni crematori. Quando sono arrivati gli americani camminavo sulle ginocchia perchè non avevo la forza di alzarmi: pesavo 29 chili». Anche la sua mamma fece fatica a riconoscerlo al ritorno a casa. A lei regalò il tozzo di pane che gli fu a sua volta donato da una donna tedesca di 80 anni, uccisa per quel gesto di generosità: lo custodì sotto il cappello, perchè «mangiarlo sarebbe stato come mangiare un pezzetto di cuore di quella poverina».

Per decenni Enrico decise di tenere tutto dentro, fino a otto anni fa quando iniziò a portare la sua testimonianza nelle scuole raccontando l’orrore della guerra del secolo scorso, perchè non si ripeta più come purtroppo continua inesorabilmente a ripetersi anche vicino a noi: «Quella che c’è oggi in Ucraina è una guerra suicida, un massacro inutile», dice lui che ha vissuto sulla propria pelle quei massacri quando era poco più che ventenne. Ed è ai giovani che oggi vuole fare arrivare il suo messaggio di speranza: «Ragazzi io ho sofferto tanto ma non voglio che queste sofferenze ricadano su di voi. Siamo in un’epoca disastrata e bisogna avere tanta volontà: dovere averla soprattutto nel vostro studio. E’ per la mia forza di volontà che mi sono salvato: in quelle situazioni ci si aggrappava a un sentimento che poteva darti vita, non arrendetevi. Grazie ragazzi»
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