Lettera aperta di unə infermierə: “Non siamo più eroi e siamo stanchi di condizioni di lavoro proibitive”
Un/Una dipendente di un'azienda ospedaliera elenca insoddisfazioni, difficoltà e aspettative deluse. Invita i cittadini a chiedere una sanità a misura di persona

Gentile redazione,
Sono unə infermierə e scrivo questa lettera al termine delle votazioni per il rinnovo delle RSU nella ASST dei 7 Laghi che, secondo roboanti e sgargianti slogan, dovrebbe essere un’occasione di cambiamento.
Ho votato per sentimento civico, ma onestamente non nutro alcuna fiducia in quei sindacati (molti dei quali non conoscono la nostra realtà lavorativa) che ci promettono tutto e niente.
Stando ad oggi, l’infermiere italiano è a tutti gli effetti riconosciuto come un OPERAIO (con il sentito rispetto per la classe operaia) e questo non è di certo un modo per lodare e stimolare le responsabilità, gli studi e la nostra professionalità.
Siamo ancora gli eroi della moneta da due euro, della candidatura al premio Nobel per la Pace, dei francobolli, delle targhe commemorative e dei biscotti della Mulino Bianco?
No.
È di questi giorni, tra Como e Lecco, una petizione lanciata da UIL (un sindacato non sanitario) nel tentativo di trattenere il personale italiano diminuendo il divario stipendiale: sindacato e ASST locale hanno lanciato questa petizione indirizzandola ai responsabili regionali. E da noi?
Sento di colleghi infermieri che si licenziano (o ne manifestano l’intenzione) dalla nostra ASST, ritornano nel privato, vanno all’estero (non solo Svizzera) o, addirittura, abbandonano la professione. Sembrerebbe che due terapie intensive siano state accorpate perché manca personale…I nostri dirigenti, anche infermieristici nella struttura complessa del D.A.P.S.S, cosa fanno? Anziché trovare soluzioni o proporre alternative, sfruttano il già esiguo personale ripetendo come un mantra “Non c’è personale” (chissà come mai!) e alle richieste di aumentare il personale, ridistribuendolo in maniera equa, rispondono “Il numero di organico è sufficiente, anzi!, siete in sovrannumero.”
Questo avviene mentre c’è un concorso per OSS, con una graduatoria bloccata che ha lasciato a casa parecchi collaboratori già operativi e formati nei reparti (finora non rimpiazzati) e un concorso a gennaio 2022 per assunzione a tempo DETERMINATO, che ha “attirato” solo 154 infermieri di cui 69 ammessi.
A costoro vorrei chiedere se conoscono il DLgs 26.11.1999 n.532, art.17, comma 2, la L.05.02.1999 art. 11 comma 1, il DM Sanitá 13 settembre 1988 art. 4, che regolamentano il numero di organico medico-infermieristico e la obbligatorietà di garantire la presenza dello stesso numero di personale sia di giorno che di notte; eppure ci troviamo con personale ridotto ai minimi termini di giorno e di notte con un medico di guardia per centinaia di pazienti e nessun operatore socio sanitario perché? Perché l’infermiere è il tuttofare dell’ospedale? Perché tanto di notte non succede mai nulla? O perché credono che emergenze e urgenze si mettano d’accordo affinché il personale le possa gestire con lucidità, lucidità peraltro messa a dura prova dall’assenza di adeguati riposi?
E come se non ciò bastasse, oltre a essere oppressi dalla dirigenza ospedaliera, dalle condizioni lavorative proibitive, siamo spesso vessati dall’utenza e dai familiari che, come avvoltoi, continuamente ci fanno notare le nostre mancanze (di noi infermieri, non dell’azienda, sia mai!), hanno la denuncia facile o si lasciano andare ad aggressioni fisiche e verbali.
Sicuramente qualcuno sarà contrariato da questa mia aspra critica e denuncia e capisco che entrare nella testa di unə infermierə è complicato. Non è rassicurante lavorare in queste condizioni. La nostra non è una categoria attaccata ai soldi ed ai propri bisogni: sicuramente è un argomento caldo per tutti e per noi arriva a seguito di una serie di DISORGANIZZAZIONI del lavoro, anche per quanto riguarda la sfera relazionale. I carichi di lavoro negli ospedali italiani, soprattutto in certi momenti, sono tali per cui viene completamente trascurato il lato empatico-emotivo con il paziente: spesso non si riesce a dedicare cinque minuti al degente, che alla fine è solo un numero, una diagnosi di ingresso e una terapia.
Noi, potrebbe stupire questa dichiarazione, non siamo per nulla contenti di ridimensionare la complessità clinico-assistenziale di un malato in questi termini.
La finalità della D.A.P.S.S. (testuali parole prese dalla pagine inerente nel sito aziendale) è “garantire appropriate risposte alla persona, in relazione al suo stato di salute ed ai suo bisogni sociosanitari“, obiettivo forse non raggiunto in tutte le strutture complesse (ora si chiamano così i reparti). Inoltre “opera seguendo i seguenti principi:
[…]
crescita e potenziamento di tutte le professionalità al fine di migliorare le competenze.” Eppure il demansionamento viene perpetrato, giustificato e incoraggiato a nostra insaputa e siamo i primi a permetterlo, questo è il nostro mea culpa. Nessun riconoscimento sociale ed economico per chi ha master e lauree magistrali che rimangono solo meri sfizi di accrescimento culturale personale (tranne i master in case management e coordinamento).
Perdonate il lunghissimo sfogo, ma sono unə infermierə con lo stesso fervore e passione di quando si è laureatə, costantemente stancə e delusə da questo mondo sempre più abbandonato a se stesso, ma con la forza di denunciare e lottare per i propri ideali.
Post scriptum: questo è una considerazione che non ha la presunzione di rappresentare l’intera popolazione infermieristica, ma che probabilmente troverà consensi e approvazione nella stessa.
Con questa lunga lettera vorrei far discutere anche la gente comune, invitandola a chiedere alle istituzioni, con maggiore forza, una sanità più a misura della persona che dell’azienda.
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