Hikikomori e Ritiro sociale oltre lo stereotipo: storie di ragazzi ritrovati
Intelligenti, creativi, sportivi e sensibili, ma schiacciati dalla pressione sociale. Come Alessia, ragazza che da utente è diventata operatrice del progetto che contrasta il ritiro sociale
L’immaginario comune vuole i ragazzi in ritiro sociale chiusi nella loro camera, possibilmente buia e disordinata, senza contatti col mondo esterno. Per comodità ce li immaginiamo anche un po’ sfortunati, sofferenti, nerd e con poche abilità “di successo”.
Perché in fondo lo stereotipo dell’Hikikomori ci mette al riparo da un pensiero con cui invece fare i conti è tosta: chi si ritira non lo fa perché inabile allo stare in società. Anzi. Spesso ci sta dicendo che proprio quella società – noi – non lo sa ascoltare e non lo rappresenta. Come già dicevamo qui.
Hikikomori: se il ritiro è sociale, la soluzione non può essere individuale
Quindi, nonostante il più delle volte abbiano davvero camere disordinate e ridotti contatti col mondo, i ragazzi in ritiro sono tutt’altro che inabili.
Le statistiche – confermate anche dall’esperienza del Progetto Sakido sul territorio provinciale – parlano infatti di adolescenti estremamente intelligenti, spesso dall’ottimo rendimento scolastico, sportivo o creativo. Tutti profondamente sensibili e tutti schiacciati dall’enorme pressione sociale che sentono incombere su di loro.
Oltre la fatica c’è di più. Molto di più. Come nel caso di Alessia, che da utente di Sakido ne diventa operatrice e facilitatrice. Come?
Tutto inizia un paio d’anni fa, quando Alessia ne ha 17 e accetta la proposta di Matteo Zanon (Psicologo del Progetto Sakido) di entrare a far parte di un piccolissimo gruppo di ragazzi che si incontra tre volte la settimana.
Una mattina lavoravamo alla costruzione di un computer – dice Alessia – un’altra facevamo giochi da tavolo e un’altra era dedicata al disegno (in stile Giapponese, ndr). Sono stati i computer e gli anime a convincermi ad andare, il resto non mi interessava, ma poi nel tempo mi sono divertita.
Allenare gradualmente il muscolo della socialità è il senso di questi laboratori in piccolo gruppo, che – sperimentando cose nuove – puntano anche a diversificare le fonti di auto-gratificazione, sempre rispettando i tempi dei singoli ragazzi e valorizzandone le inclinazioni.
Una di quelle di Alessia, per esempio, è riuscire a mettere gli altri a proprio agio.
Per questo Sakido le propone di partecipare a un’altra iniziativa, ma questa volta come facilitatrice. Racconta Alessia:
Abbiamo creato un gruppo Discord per aiutare i ragazzi a conoscersi attraverso il video-gioco. Eravamo tutti collegati online a giocare e io davo una mano a Matteo Zanon a creare un clima sereno e a socializzare. Penso che la mia età, che era abbastanza vicina a quella dei ragazzi coinvolti, rendesse più facile per loro entrare in relazione.
Il gruppo si incontra online con cadenza regolare per circa un mese e coinvolge una decina di adolescenti intorno ai 15/16 anni.
Ero stupita del numero di partecipanti, sinceramente – dice Alessia – Al primo appuntamento abbiamo parlato praticamente solo io e Matteo. Tutti gli altri erano mutati, qualcuno invece di parlare scriveva in chat. Penso si sentissero in difficoltà, sotto stress.
Sembra che incontrarsi online sia più facile, ma non è così.
Non c’è la persona in carne e ossa davanti a te, è vero, però il timore di iniziare a parlare c’è lo stesso. Ma per questo c’eravamo io e Matteo. Facevamo in modo che non ci fosse nessun silenzio da rompere. E ha funzionato.
Dalla seconda volta, infatti, i ragazzi iniziano a parlare, intervengono quasi tutti, qualcuno fa anche qualche proposta sui giochi.
Ho notato che per mettere a loro agio le persone che hanno questo tipo di problemi, la cosa migliore da fare è parlare di qualcosa che amano, aiutandoli a distrarsi. Questi ragazzi non sono abituati ad avere un confronto rilassato su nulla, nemmeno su tematiche semplici. Chiacchierare tranquillamente del più e del meno, come facevamo io e Matteo, non solo fa passare il messaggio che si può fare, ma che possono farlo anche loro.
Certo, dovevo stare stare attenta a quello che dicevo. Dialogare con queste persone non è semplicissimo. Danno molta importanza alle parole e ad alcuni argomenti. Io ci sono abituata perché lo faccio già con tutti, ma qui era imprescindibile.
E alla domanda “Pensi che queste attività siano utili?” Alessia risponde:
Sì, sono molto utili perché ti danno un motivo per uscire di casa o, in generale, per fare qualcosa di diverso. Ti aiutano a conoscere persone nuove, che per chi sta attraversando questo momento della vita, non è così scontato. Ci sono ragazzi che non fanno nuove amicizie da anni e che qui conoscono 10 persone in una volta sola. È un po’ una palestra … di socialità. Ti aiuta a sbloccarti.
Ma queste attività vanno bene per tutti? Secondo Alessia sì, ma solo a tempo debito e per chi si ritiene in un certo senso “pronto”.
Se una persona viene catapultata in un contesto anche così sereno e protetto, ma nel momento in cui ancora non se la sente, il rischio che diventi un boomerang e sortisca l’effetto inverso è altissimo.
Niente forzature quindi, è come un frutto che sta maturando e che va colto al momento giusto.
Ma quale sia quel momento è difficile spiegarlo.
Una persona che c’è dentro lo capisce, quando il momento è giusto. Io mi sono svegliata una mattina, ho visto un Drama, e ho pensato che volevo tornare a vivere. Per me è stato così. Ma non è detto che sia così per tutti.
L’unica persona che può capire se sei pronto o meno, sei tu. Non ha senso costringere. Ha senso proporre, poi ognuno valuterà in base a che punto del percorso si trova.
a cura di Elisa Begni operatrice del Progetto Sakido, con il prezioso contributo di Alessia.
Sakido è il progetto finanziato dalla Fondazione Con i Bambini, che si occupa di Ritiro sociale in adolescenza in provincia di Varese.
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