Servizio sanitario insufficiente nella cura dei tumori: gli italiani pagano 1800 euro di tasca loro
È quanto sostiene la Favo, Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia, in occasione della Giornata mondiale contro il cancro. Lo slogan scelto è "colmare il divario di cura"
«Close the care gap». Ovvero: colmare il divario di cura. È questo il tema scelto per il World Cancer Day, la Giornata mondiale contro il cancro organizzata dall’Union for International Cancer Control (UICC) come ogni anno il 4 febbraio. Un problema – quello delle differenze nell’accesso alle cure – sempre più presente anche in un servizio sanitario di tipo universalistico come quello italiano. Questioni non soltanto di carattere medico, ma anche sociale, che risaltano nel confronto tra le diverse Regioni. E alla cui progressiva risoluzione la Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) – che riunisce centinaia di associazioni di volontariato impegnate a tutelare le esigenze dei pazienti oncologici – cerca di contribuire da anni portando all’attenzione di tutti i problemi che i malati sono chiamati ad affrontare. «L’impatto delle disparità sui malati di cancro è stato evidenziato in ultima istanza da un sondaggio sui costi a carico delle famiglie colpite dalla malattia condotto da FAVO, in collaborazione con l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e l’Istituto Nazionale dei Tumori Fondazione Pascale di Napoli – spiega Francesco De Lorenzo, Presidente di FAVO -. Il nostro lavoro ha dimostrato che, a causa delle lacune del servizio sanitario nazionale, i malati spendono in media 1.800 euro di tasca propria per curarsi. Di cui 7-800 euro per la mobilità interregionale e 400 euro per effettuare indagini diagnostiche, cui ricorrono privatamente a causa delle lunghe liste di attesa che ritarderebbero l’accertamento della diagnosi».
COME LE DISUGUAGLIANZE SOCIALI INFLUENZANO L’IMPATTO DI UN TUMORE
Il tema delle disuguaglianze nell’accesso ai servizi diagnostici e alle terapie oncologiche è presente da tempo nel dibattito scientifico e sociale. A riportarlo in copertina, nelle scorse settimane, è stata anche l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC). In uno studio pubblicato sulla rivista “The Lancet Regional Health”, gli epidemiologi dell’Agenzia delle Nazioni Unite hanno confermato come l’incidenza e la mortalità per tumore in Europa (tra il 1990 e il 2015) non siano state condizionate soltanto dalle caratteristiche delle malattie. Bensì pure dalle disuguaglianze socio-economiche, rilevabili sia nel confronto tra Stati sia dalle statistiche tratte da diverse aree di uno stesso Paese. Dati che dimostrano che il rischio di ammalarsi e di morire per un tumore dipendono pure dallo status sociale di chi si ammala. Così chi parte dal livello più alto – indipendentemente dal Paese in cui risiede – sembra essere più protetto rispetto ai cittadini meno abbienti. Nello specifico, al termine dell’indagine comparativa, i divari più significativi (in termini di mortalità) sono stati registrati tra i pazienti colpiti da un tumore del polmone, del colon-retto, della faringe, dello stomaco e del collo dell’utero.
L’EMERGENZA INTERESSA ANCHE L’ITALIA
La fotografia scattata dagli epidemiologi dello IARC riguarda un periodo a cavallo tra il secolo scorso e quello attuale. Ma comunque precedente l’arrivo della pandemia, che con ogni probabilità ha acuito questi divari. L’Italia, sebbene presenti un quadro più omogeneo rispetto ad altri Paesi europei grazie alla presenza di un servizio sanitario nazionale di tipo universalistico, non è immune dal problema delle disuguaglianze. Numerosi studi, negli ultimi due anni, hanno evidenziato come l’arrivo di Covid-19 abbia avuto un riflesso sull’assistenza sanitaria di tutti i malati. E tra questi, anche di quelli oncologici. Le disuguaglianze si sono abbattute sull’intera “filiera”: dall’accesso ai servizi per la diagnosi precoce (screening) alla tempestività dei trattamenti terapeutici. Per non parlare dell’impoverimento registrato nell’offerta di quelle cure di supporto – aspetti a più riprese sottolineati da FAVO: dall’importanza del supporto nutrizionale a quello psicologico, dall’accesso alla riabilitazione al sostegno di cui hanno bisogno le persone disabili alle prese con un cancro – che rivestono un ruolo non trascurabile nel miglioramento dell’assistenza a un paziente oncologico. Un’involuzione di cui adesso si osservano i primi effetti negativi. Ma che nell’arco di pochi anni potrebbero diventare devastanti.
ELIMINARE LE DISUGUAGLIANZE VUOL DIRE ANCHE CURARE LA VITA «DOPO» IL TUMORE
Sulla base della rotta tracciata nel Piano Oncologico Europeo, il documento licenziato venerdì scorso in Conferenza Stato-Regioni contiene indicazioni chiare per migliorare l’assistenza ai pazienti oncologici. Occorre potenziare i servizi di prevenzione e migliorare l’accesso alle terapie. Ma non solo. La stessa attenzione va posta alla qualità della vita di chi ha superato la fase acuta della malattia: oltre 2,5 milioni di persone nel nostro Paese. «Il diritto alla cura dal cancro vuol dire anche poter contare su una riabilitazione a 360 gradi: nel momento in cui si è superata la fase acuta della malattia, ma non ci si può ancora considerare guariti», aggiunge Elisabetta Iannelli, Segretario Generale di FAVO. Un tema che la Federazione persegue ormai dalla sua nascita (2003), nell’ottica di un completamento del percorso delle cure oncologiche. «Le diseguaglianze di accesso ai servizi di riabilitazione di tipo biologico, psicologico e sociale impediscono ai malati di poter tornare pienamente alla vita attiva, al lavoro e a una posizione sociale dignitosa. La mancanza di interventi riabilitativi in oncologia causa un cortocircuito che aumenta il rischio di minori chance di cura e di guarigione dal cancro – conclude Iannelli -. Sostenere anche economicamente i malati, tutelare il lavoro ed il reddito sono interventi di fondamentale importanza per contribuire al superamento del gap socio-economico che rende ancor più fragili e a rischio impoverimento i malati, anche nella fase post acuta e nella cronicità. Per questo è necessario superare le diseguaglianze che influiscono sull’effettiva equità di accesso a cure di qualità e che possono fare la differenza tra la vita e la morte. Le associazioni dei pazienti chiedono che, in linea con le indicazioni della Commissione Europea, venga garantita la riabilitazione oncologica e che, pertanto, sia inserita nei Livelli Essenziali di Assistenza».
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