Gianni e quel tiro mancato che gli è costato la serie A
Non è una storia di gare quella che Roberto Bramani Araldi racconta, ma di un campione mancato e della sua passione per Cecilia, la sua cavalla che gli ha rovinato un ginocchio

Si era ormai alle ultime battute della finale della gara nazionale riservata alla categoria B organizzata in provincia di Varese e Gianni, che si trovava in parità, 11 a 11, e mancava a lui o all’avversario un solo punto per conseguire il trionfo, raccolse l’ultima boccia per allontanare quella dell’avversario posta a pochi centimetri dal pallino, si mise in posa, prendendo la mira e si apprestò a lanciare.
Gianni era un uomo dal fisico asciutto, non molto alto, robusto, i capelli castani tagliati a spazzola con qualche leggero filo bianco sparso qua e là, ormai vicino ai cinquanta, lo sguardo fermo e deciso: sembrava l’immagine del perfetto atleta quando era ritto e impettito, ma, appena si muoveva, appariva manifesta una zoppia alla gamba destra che non gli avrebbe permesso di correre in alcun modo.
La bocciata stava per partire. Gianni praticamente da fermo, spostò il braccio dalla posizione flessa all’indietro con un movimento armonico, poi l’arto si spostò rapidamente in avanti, facendo leva sulla gamba destra: fu in quel momento che udì un leggero crac al ginocchio, al quale era uso non porre alcuna particolare attenzione, essendo l’accompagnamento consueto della sua giornata.
“Dai, vieni qua, Cecilia, dai che andiamo a fare una bella passeggiata in brughiera! Dopo, quando torniamo, vedrai che qualche bel bocconcino te lo potrai sgranocchiare come il solito, ormai lo sai molto bene, furbacchiona!” Cecilia girò gli occhi ornati da lunghe ciglia atte a conferire al suo sguardo un atteggiamento seduttivo, poi strisciò il lungo muso sulla spalla di Gianni, emettendo una specie di mugolio di condivisione, si lasciò sellare e imbrigliare, infine uscì dal box dell’allevamento, prima di lasciarsi andare a un leggero trotto lungo gli ampi sentieri dei boschi intorno a Somma Lombardo.

Cecilia era l’amore non tanto segreto di Gianni: lui la chiamava affettuosamente “la mia bambina” e quasi ogni giorno si precipitava, al termine del lavoro, a trovarla, a coccolarla, a portarle mazzi di carote che lei gradiva sommamente, incurante dei lazzi incontro ai quali Gianni incorreva presso gli amici e i colleghi, allorché apriva il baule dell’auto invaso dai colorati ortaggi.
La passione per Cecilia non escludeva, però, quella per le bocce, alle quali dedicava molto tempo, soprattutto la sera, quando scendeva in campo nelle varie competizioni organizzate nei dintorni, si trattasse di gare individuali o di coppia. Non era un campione, abbastanza bravo sì, tuttavia non aveva mai varcato la soglia della categoria maggiore: era approdato in serie B e lì razzolava ormai da tempo senza trovare mai l’acuto per compiere il gran salto. Ma a lui andava bene così, i suoi due amori bene si compensavano, senza che l’uno escludesse la pratica dell’altro.
Un giorno, era nel box con “la sua bambina”, stava armeggiando intorno ai finimenti che erano alle spalle di Cecilia, quando la cavalla scartò improvvisamente nitrendo, scalciando con entrambe le zampe posteriori e uno zoccolo colpì in pieno il ginocchio destro di Gianni. Un dolore lancinante lo fece crollare, fu soccorso, portato in ospedale, operato, ma dopo la degenza, il verdetto draconiano: sarebbe rimasto zoppo per sempre.
La boccia era stata finalmente lanciata, ma il crac al ginocchio esercitò un effetto perverso, facendola deviare di un nulla, sufficiente comunque per fallire il bersaglio e concedere, quindi, la partita all’avversario.
“Sai Cecilia, ieri sera avrei potuto vincerla quella gara, era una nazionale e con il punteggio conseguito avrei potuto accedere finalmente alla categoria A. Sei stata tu, birbona a farmela sbagliare, non lo sai? Ma no, non è vero, avrei sbagliato ugualmente, del resto non è che cambi molto: amo giocare, amo competere, che importa se non ci sono riuscito adesso. Mi andrà meglio un’altra volta.”
Cecilia strusciò il muso sulla mano che racchiudeva alcune zollette di zucchero e, non appena il pugno si schiuse, le afferrò dolcemente con le labbra, assaporando con gioia la dolcezza della leccornia, socchiuse gli occhi e Gianni l’abbracciò con un trasporto mai provato. Era la sua bambina, lo sapevano o no gli altri?
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