Riflessioni sulla violenza contro le donne: “L’uomo violento teme lo specchio interiore, quello dell’anima”
Tanti i dibattiti e le riflessioni di questi giorni e numerose anche le lettere che arrivano al giornale. Tra queste pubblichiamo le riflessioni di Giulia Guzzo, una diciassettenne della provincia di Varese che ha scritto alla redazione

La notizia dell’omicidio di Giulia Cecchettin ha sconvolto e riaperto il dibattito sui femminicidi e la violenza di genere proprio nella settimana di movimentazione dedicata alla giornata internazionale contro la violenza sulla donna. Tanti i dibattiti e le riflessioni di questi giorni e numerose anche le lettere che arrivano al giornale. Tra queste pubblichiamo le riflessioni di Giulia Guzzo, una diciassettenne della provincia di Varese che ci ha scritto oggi:
Egregio direttore,
Ci sono uomini che mettono una mano sul cuore, chiedendo il sensibile permesso di condividersi con loro. Ci sono altri uomini che invece inibiscono il respiro, stringendo la mano al collo o ponendola nelle parti dove è deposto e custodito un dono innato: la femminilità. Questi si impossessano di un permesso per cui non è mai stata posta reale domanda.
L’uomo violento non ama: lo considera un compito arduo, una fragilità troppo elevata con cui poter convivere. Lui ha paura, si addossa una maschera protettiva di cui è profondamente geloso. L’uomo violento teme lo specchio interiore, quello dell’anima. Si diverte giocando a un interminabile nascondino con il coraggio; il timore gli nasconde che anche la sua anima è danneggiabile.
Si definisce nel potere che esercita sulla “sua” donna. La rappresentazione che lui stesso possiede della sua identità trova conforto nella relazione con la donna che lui stesso ha imposto. Il timore di perdere la donna lo divora: se succedesse, incomberebbe lo specchio.
Io, proprio perché donna, vorrei regalare a tutti gli uomini uno specchio; per far sì che l’uomo possa scoprire la vulnerabilità dell’essere umano, sia esso uomo o donna. In modo tale che sia condivisa tra i due sessi la consapevolezza che entrambi piangono secondo una stessa lingua e l’importanza di scoprire se stessi, prima di amare qualcun altro.
Ciò che diventa violenza non merita la parola Amore. Nel concetto di amore-violenza ci si innamora dell’idealizzazione di una relazione d’amore. Si ambisce a una relazione che trova residenza nel proprio iperuranio, in cui la percezione del reale è confutata da un bisogno d’appartenenza.
Queste idealizzazioni non rispettano la parola Amore, presa nella sua etimologia: a–mors, assenza di morte. Non bisogna quindi permettere a qualcosa o a qualcuno di essere causa di una morte interiore (o corporea, come i recenti fatti di cronaca testimoniano) in nome di ciò che urla vita. Nessuno, uomo o donna che sia, dovrebbe essere privato del diritto di amare, sentendosi costretto a vivere nel disamore, solo per paura.
Amore è la condivisione di una crescita individuale e relazionale. In cui si tiene l’altro sulla delicatezza della mano, permettendogli di esprimere se stesso e di essere soggetto e non oggetto di una frustrazione di cui non ha colpe.
Io, tuttavia, non conosco una ricetta universalmente condivisibile per trasformare in pratica ciò che per ora in questo testo è solo teoria. Spero però di aver toccato la sensibilità di qualcuno e aver fornito (magari) qualche spunto di riflessione.
Giulia Guzzo
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