“La nostra sanità attraversa il peggior momento storico, ma dobbiamo metterci la faccia e dialogare per cambiare”
Dopo le critiche su formazione e professione degli infermieri denunciate da un dipendente di un ospedale pubblico, replica il Presidente dell'OPI Aurelio Filippini che non nasconde i problemi ma indica anche i valori del ruolo in corsia

Le riflessioni di un/a infermiere/a dell’Asst sette Laghi sul ruolo professionale e sul percorso accademico hanno dato il via a una serie di riflessioni sul lavoro in corsia e sul futuro della professione.
Tra i primi a contribuire al dibattito il Presidente dell’Ordine professionale degli Infermieri di Varese Aurelio Filippini che ha il ruolo di dipendente dell’azienda ospedaliera varesina e formatore dell’Università dell’Insubria.
Premetto che non apprezzo gli interventi anonimi, non lasciano la possibilità di approfondire con chi ha scritto restando una opinione personale e tolgono la possibilità di repliche che invece sono garantite da chi ha scritto il primo articolo.
Purtroppo, mi vien da dire, nulla di nuovo sotto la componente della condizione generale della sanità, dei sanitari e delle persone che assistiamo (a volte finiscono in secondi piano ma siamo professionisti proprio per loro).
Io per primo sto segnalando pubblicamente la situazione e proponendo interventi in ogni occasione possibile: dai mass media locali a quelli nazionali, dalle aziende provinciali a Regione. La nostra Settelaghi è in ottima compagnia e condivide con tutte le aziende delle province di confine le condizioni davvero difficili: su questo lavoriamo con Regione Lombardia per garantire incentivi economici stabili e welfare aziendali che possano incidere veramente sulla qualità di vita, facile? No! Possibile? Sì!
Avendo lavorato per anni al corso di laurea, mi sento di stimolare gli studenti a comunicare serenamente le proposte migliorative e lo stesso lo direi ai colleghi, troppo spesso le critiche diventano chiacchiere da bar e non arrivavo in modo propositivo a chi gestisce, dirige e coordina i percorsi.
Sicuramente il nostro corso di laurea ha ben in mente che deve formare professionisti che curano persone, migliorabili i percorsi? Certamente come tutto e con l’aiuto di tutti. Personalmente non confonderei la passione per la professione e per la cura con il demansionamento e le rivendicazioni sindacali.
Ci sono istituzioni e persone dedicate ad affrontare questi argomenti, non capisco come assistere le persone possa essere un boomerang per la crescita e la valorizzazione professionale. Il primo anno di corso fa molto di più che insegnare l’igiene, cerca di insegnare a vedere le persone a 360 gradi e vedere la salute come un insieme di comportamenti che passano anche dall’essere puliti: se poi non sarò io ad effettuare l’igiene, quantomeno sarò io a evidenziare che ne hanno bisogno, perché la cura passa anche da qui.
Non avere uno stipendio decoroso (verissimo) non può giustificare il non prendersi cura. Giustificarsi dicendo che per quello che prendo faccio fin troppo, temo che ci porterà a fare meno ma non a prendere di più, a cosa serviamo se assistiamo in base a quanto ci pagano?
Dimostriamo che siccome assistiamo e curiamo tanto e bene dobbiamo avere di più, personalmente è su questo che punto per il ruolo che ricopro. Ho collaborato per definire la professione infermieristica come lavoro usurante proprio perché quotidianamente a contatto con la malattia, la sofferenza e il dolore, cioè con le persone malate.
La situazione della sanità pubblica italiana è, a mio avviso e sono infermiere da trent’anni, nel peggior momento storico, che ad oggi la salute si regge solo sulle competenze e la passione (intesa proprio come inclinazione per una professione) dei professionisti. Chi scrive conosce la concretezza della situazione, da qui va aperto il dialogo, magari mettendoci anche la faccia, con proposte concrete e realizzabili di chi, lavorando sul campo, può sapere come migliorare.
“Demotivati, stanchi e insofferenti: ecco perché gli infermieri scappano dall’ospedale”
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