Come fa a dormire un soldato dopo una missione di morte?

I dieci processi della disumanizzazione conducono fino allo sterminio. La resistenza a ogni forma di discriminazione è l’unico modo per evitare che le vittime di ieri e oggi diventino i carnefici di oggi e domani

guerra ucraina

“Tesoro, mi alzo piano per non svegliare le bambine. Oggi ho il turno presto, ma torno per cena. Baciale per me. Ti amo”. Il signor Bianco Mulino ha un lavoro particolare, che comprende premere grilletti, sganciare ordigni, abbattere target. È un “missionario” e lo fa molto bene, da buon soldato, in qualche posto del mondo dove la sua missione lo porti.

Come fa a dormire la notte? Come non vede il risultato di distruzione del suo lavoro? Dopo tutto, presumibilmente è un essere umano quanto quelli che elimina.

Questa domanda è importante perché uccidere uomini, donne e bambini tende a mettere a dura prova la psiche, costringendo forse a dover affrontare tutti i tipi di domande scomode, a contrastare tutti i tipi di pensieri indesiderati che si insinuano anche nelle menti più chiuse, come singole spie che si intrufolano in una fortezza ben custodita.

La risposta è semplice: convivi con questo dilemma, convincendoti che coloro che vengono uccisi non sono in realtà umani, o almeno non umani quanto te. Se lo fai bene e ripetutamente, riuscirai a convincerti con successo che l’omicidio non è omicidio; è un male necessario per il controllo dei parassiti.

La disumanizzazione è un processo continuo, che si svolge in concomitanza con le operazioni speciali e militari vere e proprie, essendone una parte fondamentale e imprescindibile. È un processo delicato, sempre più sofisticato, da quando tutto il mondo può vedere in diretta e in dettaglio quello che avviene, e parte da lontano e per primo. Gregory Stanton, un antropologo americano, ha studiato a fondo come le persone prendono decisioni davanti a dilemmi morali, prendendo spunto dal pensiero di Jean Piaget su come i processi cognitivi e morali sono strutturalmente correlati. Lui stesso descrive nel seguente modo il modello che ci fa capire come la disumanizzazione non sia che uno dei processi di una progressione ancora più ampia.

Il primo processo è la Classificazione, quando classifichiamo il mondo in “noi” rispetto a “loro”. Il secondo è la Simbolizzazione, quando diamo nomi a quelle classificazioni come Ebreo e Ariano, Hutu e Tutsi, Turco e Armeno, Bengalese e Pashtun.

A volte i simboli sono fisici, come la stella gialla nazista. Il terzo è la Discriminazione, quando leggi e consuetudini impediscono a gruppi di persone di esercitare i loro pieni diritti come cittadini o come esseri umani. Il quarto è la disumanizzazione, quando le vittime sono chiamate topi, scarafaggi, cancro o malattie. Rappresentarli come non umani fa sì che eliminarli sia una “pulizia” della società, piuttosto che un omicidio. Questi primi quattro processi presi insieme danno luogo a ciò che James Waller chiama “Altro”.

Il quinto processo è l’Organizzazione, quando gruppi di odio, eserciti e milizie si organizzano.

Il sesto è la polarizzazione, quando vengono presi di mira i moderati che potrebbero fermare il processo di divisione, in particolare i moderati del gruppo degli autori delle azioni di “pulizia”.

Il settimo processo è la Preparazione, quando i leader elaborano i piani per la soppressione e gli autori materiali vengono addestrati e armati.

L’ottavo processo è la Persecuzione, quando gli “altri” vengono identificati, arrestati, trasportati e concentrati in prigioni, ghetti o campi, anche in Paesi confinanti, con accordi di mutuo interesse.

Il nono processo è lo Sterminio, quello che i giuristi definiscono la distruzione intenzionale, totale o parziale, di un gruppo nazionale, etnico, razziale, religioso o geografico.

L’ultimo processo è la Negazione: un tentativo continuo di distruggere psicologicamente e culturalmente il gruppo delle vittime, di negare ai suoi membri anche il ricordo degli omicidi dei loro parenti.
Questo processo sembra non toccarci direttamente. In realtà abbiamo una responsabilità individuale nel promuovere, volontariamente ignorare o apertamente negare, ogni forma di discriminazione e polarizzazione sociale. Quando le condizioni di vita peggiorano e l’economia crea vincitori e vinti, presunti o reali che siano, le persone cercano di trovare le ragioni dei loro problemi.

Questo è il momento in cui gli estremisti politici possono diventare popolari poiché incolpano determinati gruppi di persone e promettono che eliminandoli i problemi della società scompariranno. Davanti all’evidente fallimento dei sistemi di governo internazionali, alla mancanza di leadership dei rappresentanti delle istituzioni democratiche, il miglior antidoto alla violenza e all’odio è l’educazione e lo sviluppo della tolleranza sociale e culturale per la diversità.

La nostra opportunità di fare la storia ce la giochiamo al lavoro, sui campi sportivi, al supermercato e nei social media, soprattutto tra le mura domestiche, con le scelte che facciamo. La resistenza a ogni forma di discriminazione, disumanizzazione, violazione dei diritti umani è l’unico modo per evitare che le vittime di ieri e oggi diventino i carnefici di oggi e domani.
“Puoi uccidere le persone a migliaia, ma non puoi eliminare un’idea”, Shimon Peres.

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Pubblicato il 10 Febbraio 2024
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