In tribunale a Varese l’educatrice si difende: “Mai nessuno strattonamento ai bimbi”

I fatti contestati racchiusi in un video a sostegno del capo di imputazione, ma l’insegnante parla in aula e spiega la tecnica della “sedia del castigo”

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C’era sì, una “sedia del castigo“, ma era un metodo educativo di cui tutti in quell’istituto per l’infanzia privato di Cantello erano a conoscenza (dalla direzione agli altri operatori), tanto che i colleghi di lavoro dell’educatrice finita a processo per maltrattamenti avevano affidato alla donna l’educazione dei loro piccoli, senza avere rimostranze alcune, partite invece da alcuni genitori che hanno denunciato comportamenti sospetti, da cui sono poi partite le indagini. Oggi, 27 febbraio, in aula davanti al collegio ha parlato proprio l’imputata, sottoponendosi all’esame (una pratica facoltativa che consente alle parti, nei limiti della procedura, di porre domande).

La donna ha ricostruito la temperie del momento (siamo nel 2020) durante la quale ha dovuto superare un momento di grave difficoltà per questioni personali. Ha spiegato che la vicenda della denuncia, e delle successive indagini che hanno portato al posizionamento delle telecamere nell’istituto le hanno di fatto precluso ogni altra possibilità lavorativa nel campo dell’educazione di bambini in tenera età, tanto che ora lavora come libera professionista in un contesto completamente diverso.

«Inoltre i vertici della struttura mi avevano dispensato dal servizio a mia tutela, visto alcune minacce pronunciate nei miei riguardi da alcuni parenti dei bambini».

Minacce perché la donna risulta tuttora accusata – ma non colpevole fino a prova contraria – di una serie di maltrattamenti su cinque bambini le cui famiglie si sono costituite parte civile (avvocati Brusa e Bossi) per presunti maltrattamenti rivolti ai lori piccoli, tutti bambini in tenera età. Strattonamenti, scappellotti, e pratiche sospette: per i genitori sopraffazioni fisiche, per l’insegnante sentita in udienza nulla di tutto questo. La “sedia del castigo”, per l’appunto, era un metodo educativo che consisteva nel chiedere ai bambini disobbedienti, dopo due richiami, di sedersi affianco all’educatore per un periodo, espresso in minuti, pari all’età del bambino (tre anni=tre minuti di “castigo”). E gli strattonamenti per il mento? «Solo dei richiami a rivolgere lo sguardo all’interlocutore».

Da un lato, insomma, le madri, i genitori che con la voce rotta dal pianto hanno ricordato nelle precedenti udienze il periodo attraversato dai figli in quella struttura della valle; dall’altro la difesa che oggi ha dimostrato come il metodo educativo scelto dall’insegnante non era sgradito anche ad altri educatori ed era a conoscenza dei vertici della struttura. In aula è stato anche ascoltato l’atteggiamento degli operanti che visionarono i video frutto di registrazioni segrete («ambientali») che dissero apertamente alla corte di non aver mai ravvisato comportamenti che facessero scattare la necessità di intervenire per fermare l’attività dell’insegnante (come invece avvenuto in svariate altre inchieste simili, vedi il nido di Gavirate, oramai qualche anno fa).

«Nel video poi», ha specificato il difensore avvocato Massimo Tatti «si vede la sedia del “time out“ (come viene chiamata tecnicamente la “sedia del cattivo”ndr) ma non i due episodi precedenti al time out», quindi i motivi che obbligarono l’insegnante a prendere i provvedimenti contestati». Il medesimo video che invece costituisce una prova schiacciante a carico dell’educatrice, come ha sostenuto a margine dell’udienza il difensore di parte civile Anna Maria Brusa. Per la discussione, cui seguirà il verdetto del giudice si dovrà attendere il prossimo 28 maggio.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 27 Febbraio 2024
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