Anche il poeta Leonard Cohen cerca di rendere più varia ed arrangiata la propria musica
Nel 1974 sembrava ormai che il modello del cantautore folkie solo chitarra e voce fosse alla fine

L’iniziale trilogia delle Songs – Of Leonard Cohen (1967), From A Room (1969) e Of Love And Hate (1971) – era stata strepitosa ma, come stiamo vedendo dai lavori di Dylan o di Joni Mitchell, gli anni ’70 non erano più quelli del cantautore “solo chitarra e voce”. Nel terzo se non altro aveva già dimostrato di sapere un po’ cantare rispetto a quel quasi parlato dei primi due, ed aveva aggiunto qualche arrangiamento in più, affidandosi all’ottimo Paul Buckmaster.
Dopo tre anni, che allora erano un’eternità anche se ci aveva infilato un Live, torna con un disco diverso, decisamente più vario sul piano musicale, e un po’ meno deprimente all’ascolto. Il suo forte sono sempre la voce ed i testi, dato che nasce come poeta e non come cantante, anche se qui li varia di più, arrivando a descrivere ad esempio un suo rapporto sessuale con Janis Joplin (una rima come “Giving me head on an unmade bed” la poteva scrivere solo lui!).
Non sarà però un grande successo, in USA non entrerà nei primi 200 ed il nostro resterà un artista di nicchia quasi tutta la vita. Incredibilmente raggiungerà il successo vero a 77 anni con un terzo posto in classifica USA nel 2012, quattro anni prima di morire.
Curiosità: in concerto raccontava sempre l’incontro con Janis al Chelsea Hotel: fu in ascensore con lei che gli chiese se non era Kris Kristofferson, e lui che prese la palla al balzo e rispose di sì. Anni dopo smise di raccontarla e si scusò in un’intervista per la poca riservatezza. 50 anni fa la musica
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