Il tesoro archeologico di Sesto Calende: dagli scavi oltre alla chiesa un possibile monumento romano
L'Università Statale ha organizzato una conferenza per illustrare gli scavi archeologici a Sesto Calende. Oltre all'abside della chiesa, i primi risultati fanno ipotizzare anche alla presenza - ancora da accertare - di un luogo di culto romano risalente al primo secolo
Conclusi gli scavi archeologici nell’area dell’oratorio di San Vincenzo di Sesto Calende, l’Università Stale di Milano ha organizzato una conferenza per spiegare ai cittadini e ai più curiosi i primi risultati dopo l’apertura di tre saggi nell’area – già studiata negli Anni 80 – di proprietà della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, a pochi metri dall’edificio religioso, oggi sconsacrato, e del masso erratico di Preja Buja.
«All’incontro comunitario» condotto dal direttore scientifico Emanuele Intagliata e dal professor Lorenzo Zamboni presenti un centinaio di sestesi, molti dei quali avevano già potuto assistere agli scavi universitari durante le visite organizzate ogni martedì di settembre fino al 24 settembre, prima che l’area venisse ricoperta, anche se, come annuncio dai due archeologici, sarà nuovamente oggetto di studio il prossimo anno e, forse, anche i successivi visto il “tesoro” che si nasconde sotto il terreno sestese.
«Vedere crescere i numeri dei sestesi presenti agli scavi di settimana in settimana è stato bello e importante – commenta Intagliata -. L’intenzione è quella di continuare: la concessione è fino al 2025 ma chiederemo se sarà possibile un rinnovo. Difficile dire adesso cosa sarà deciso prossimamente, per prima cosa si dovrà studiare e analizzare quanto riportato alla luce, è probabile che comunque cercheremo di estendere lo scavo, in particolare per il saggio B».
Non solo l’abside della chiesa cristiana che VareseNews aveva mostrato con un video lo scorso 12 settembre (in fondo l’articolo il video realizzato nel corso della ricerca), i primi risultati degli studi lasciano supporre gli esperti che uno dei tre saggi archeologici aperti, il B, sia legato a un grande edificio di epoca romana, non di carattere residenziale, bensì di culto.
«Sulla base dei materiali emersi possiamo avere una data indicativa attorno alla fine dell’età repubblicana e l’inizio età imperiale, a cavallo tra la fine del primo secolo avanti Cristo e l’inizio del successivo – spiega il prof Zamboni -. Il grande dubbio che affronteremo nelle prossime settimane e mesi di lavoro, durante quello che viene chiamato studio post-scavo, sarà cercare di capire come questa struttura si inserisca all’interno del paesaggio antropico. La sensazione, tutta da confermare, è che si tratti di un grande edificio di culto di età romana. In archeologia è giusto sottolineare come l’errore esiste e fa parte del processo di conoscenza, l’importante è saperlo poi riconoscere».
L’ipotesi degli studiosi nasce dal tipo di planimetria emersa, dalla scarsità di oggetti domestici e dalla presenza di altri invece funzionali alla celebrazione di un culto, insieme a una serie di indizi secondari, ancora incerti nella correlazione, come la presenza sul territorio degli altari con le dediche a Diana e a Ercole, are oggi conservate al museo di Sesto Calende. «Indizi che fanno pensare a un paesaggio non solo insediativo, ma con aspetti simbolici monumentali e cultuali – sottolinea Zamboni -. Da approfondire sono in particolare i terrazzi artificiali dell’area che regolarizzano e monumentalizzano il sito di San Vincenzo verso l’abitato Sestese. Se davvero questi terrazzi fossero antropici e romani, si delineerebbe un quadro molto affascinante e suggestivo di un luogo soprelevato, dal lago, con questo grande edificio che occupa una posizione strategica».
La conferenza dal nome Racconto di uno scavo non conclude per il momento il dialogo dell’Università con Sesto Calende, in attesa della riapertura del prossimo anno. Come fatto sapere dai due archeologi, nei prossimi mesi le iniziative continueranno «per raccontare il territorio che lo vive ogni giorno». Le prime delle idee in corso di sviluppo sono una mostra fotografica itinerante che farà tappa nelle scuole della città.
«Oltre al supporto dell’amministrazione comunale sarebbe bellissimo se il territorio volesse partecipare e aiutare questo progetto – conclude poi Zamboni, lanciando una sorta di appello -. Uno dei nostri costi principali è pagare l’alloggio agli studenti. Pensiamo che per uno studente venire a uno scavo significhi poterlo fare a costo zero, considerando anche già il lavoro impegnativo a cui è chiamato. Una casa, un appartamento, un luogo dove poter far alloggiare gli studenti con dei costi ridotti e gestire più facilmente un impegno economico enorme».
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