Il valore aggiunto dell’exchange: Elisabetta si riscopre ad Ottawa
Studentessa della Liuc, ha deciso di partecipare subito al semestre all'estero. Un'esperienza che aiuta ad allargare lo sguardo e guadagnare autonomia
Per Elisabetta Pesce, anni 19, frequentare un semestre in un’università straniera è un passaggio necessario per ottenere il titolo di Dottoressa. L’exchange però non si è rivelato un mero mezzo di crescita professionale, ma la via per conoscere il proprio “io” e rivalutare i principi e i valori trasmessi dalla famiglia.
Dopo il diploma di maturità conseguito cum laude al corso internazionale quadriennale dell’Ite Tosi di Busto Arsizio, Elisabetta ha scelto come gradino successivo per la propria carriera accademica il corso di Laurea triennale in Business Economics. Il percorso offerto dall’Università Carlo Cattaneo di Castellanza prevede, al fine del completamento del ciclo, insieme al superamento di esami orali e scritti, la frequenza per un semestre di un’università al di fuori dai confini italiani, ove si partecipa a corsi affini e pertinenti al proprio percorso di studi.
Perché questa scelta universitaria?
«Non ho voluto abbandonare il taglio del percorso che stavo concludendo. Al tempo della scelta universitaria avevo svolto un’esperienza di exchange promossa da CertiLingua con una scuola tedesca e stavo tornando da una Learning Week a Bruxelles, nel distretto dell’Unione Europea. Avevo già incontrato qualche difficoltà -la lingua, ad esempio- che a ogni modo non pareva insormontabile, quindi perché non osare di più pensando ad un’università che mi permettesse di vivere la vita accademica anche all’estero? Mi era già chiaro che al di fuori di Tradate, la mia città, ci fossero parecchie opportunità, mentre l’economia e il diritto sono state le mie materie preferite dal primo giorno di superiori: la scelta è stata quella di combinare le due optando per questo corso di laurea».
Dal primo anno alla Liuc come sei finita ad Ottawa?
«È successo tutto velocemente. L’università ha pubblicato le possibili mete, io ero in pari con gli esami e ho deciso di presentare la richiesta per svolgere lo scambio il primo semestre del secondo anno. Tra le mete, la capitale canadese ha fatto breccia nel mio cuore perché ero curiosa di vivere in una realtà universitaria diversa da quella da cui provengo. Nel campus in Canada le facoltà non erano limitate a economia e ingegneria gestionale, gli studenti erano molti e il contesto internazionale. Ottawa come Montreal mi ha regalato quattro mesi di weekend e gite pazzesche. Avere le balene a fianco, sono certa, rimarrà un ricordo indelebile».
Cosa vuol dire trasferirsi a 7000 chilometri da casa quando si hanno 19 anni?
«Ho lasciato la mia stanza con la scrivania su cui preparavo – e ora sono tornata a preparare – gli esami per frequentare la biblioteca dell’università di Ottawa; ho abbandonato pranzi sublimi per sopravvivere grazie alle carotine del supermarket più vicino alla residenza. Direi che il cambiamento è stato radicale, ma la mia famiglia canadese, ovvero gli altri studenti in scambio, sono stati d’aiuto. Lì, ad Ottawa, ho trovato una nuova famiglia ora dispersa per il mondo. È così che da settembre scorso il mio concetto di famiglia si è ampliato: ora equiparo gli amici ai parenti, il sangue non è così importante, e al volersi bene affianco l’esserci l’una per l’altra. Il fuso e i tanti chilometri hanno fatto sì che vivere da sola significasse anche fare i conti con me stessa. Ho cercato di trovare la mia routine, che non prendeva più in considerazione le esigenze di mamma e papà, i miei coinquilini in Italia. Ho lavorato molto per capire cosa e in che misura mi facesse stare bene. Sicuramente ho trovato una nuova ‘Betta’ ad Ottawa, sono però certa di non aver finito di scoprirmi; sicuramente lo scambio in Canada ha velocizzato il mio processo di crescita personale e individuale. Al ritorno mi sono resa conto che, nonostante la famiglia sia la cosa più preziosa che si possa avere, ho la necessità di avere spazi miei, di prendere decisioni solo imputabili alla mia volontà. Tutto sommato imparare a cavarsela da sole è tanto faticoso quanto liberatorio: ora capisco i giovani del Nord Europa!».
Com’è la vita universitaria canadese? È vero che studiare all’estero è più facile?
«Per certi versi mi è sembrato di aver già vissuto quella che è la vita di un’universitaria in Canada: mi è parso di tornare tra i banchi delle superiori. I docenti sono molto presenti – tanto da ricordare i nomi degli studenti – e richiedono spesso compiti da consegnare entro un termine: la gestione autonoma dello studio lì è ignota. Questo non è un male perché risulta più raro il fenomeno della dispersione scolastica. Non mi mancheranno le ore brevi delle lezioni canadesi, forse i quiz a crocette, quelli sì. Per rispondere alla domanda, non definirei lo studio più semplice, ma organizzato in un modo diverso: l’esame finale è a crocette perché gli assignments settimanali che lo precedono lo integrano».
Hai mai pensato “chi me lo ha fatto fare”?
«A questo interrogativo, che mi sono posta più volte, soprattutto nei momenti di difficoltà con le carte di credito e debito, l’imbarco dei bagagli, l’acquisto dei libri e gli affitti di case per visitare la regione canadese, non c’è risposta. Mi è piaciuto? Sì. Ho avuto difficoltà? Sì. Vero è che mi ha riempito il cuore vedere me stessa superare i miei limiti. Come mi diceva un amico in Ontario, quando la vista era sulle cascate del Niagara, non si ricorda il freddo, il male, la paura; si ricorda l’avventura e al riaffiorare del ricordo spunta un sorriso».
Cosa ti ha lasciato il Canada?
«Sicuramente mi lascia con fame. A mio avviso loro non conoscono la felicità derivante dall’ordinare una buona pizza o un bell’hamburger quando si ha avuto una giornata “no” o non si ha assolutamente voglia di cucinare. Peccato! A parte gli scherzi, direi che mi ha insegnato a cogliere l’attimo e a capire di meritare tutta la felicità che posso avere. Ho scoperto che se oggi puoi fare due cose che ti fanno stare bene, non devi sceglierne una e rimandare l’altra a domani: falle entrambe».
A conti fatti lo rifaresti? Credi che questa esperienza ti abbia donato del valore aggiunto?
«Certo che lo rifarei. Sono orgogliosa di dire che ce l’ho fatta, anche con risultati che mi hanno lasciata soddisfatta! Credo che il valore aggiunto preponderante sia in termini delle cosiddette soft skills, le competenze trasversali. Problem solving e apprendimento emotivo sono super richieste nel mercato del lavoro: ecco dove posso spendere questo added value che Ottawa mi ha lasciato. Ora si parte per Colonia, che un’altra esperienza all’estero mi arricchisca e mi faccia scoprire di più di me stessa».
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Avessimo avuto solo 1/5 delle opportunità che vengono offerte oggi ai giovani. Eppure vedo un declino costante in ogni ambito della vita professionale, civica e giuridica….