“Varese, il futuro della bicicletta”: l’indagine di Fiab per la settimana europea della mobilità

L'intervista a 8 persone che usano la bicicletta nella Città Giardino per capire com'è muoversi su due ruote a pedali

bici varese fiab ciclocittà

FIAB (Federazione Italiana Ambiente Bicicletta) ha promosso una piccola indagine sull’esperienza della mobilità in bici a Varese, per provare a fare un quadro della situazione partendo dall’intervista di 8 persone, scelte per la diversità di esperienze, utilizzo della bici, età e genere. Il risultato finale viene pubblicato lunedì 16 settembre, in occasione dell’inizio della settimana europea della mobilità sostenibile.

Varese è una città prealpina, non di montagna, non di pianura, nemmeno di collina. Però assomiglia alle città collinari. Questo per i ciclisti è un bene o un male? Qui comincia il difficile perché tocca rispondere: dipende.

Per i ciclisti sportivi è una pacchia, per quelli che pedalano solo per far prima a spostarsi da una parte all’altra della città, è un ostacolo. E qui si incontra una prima – elementare – classificazione tra chi usa la bicicletta.

E si pone anche un dubbio lessicale: se diciamo “ciclismo” parliamo del “mondo” di tutti quelli che pedalano oppure di quello frequentato solo da una parte di quelli che vanno in bicicletta?

Noi di Fiab Varese Ciclocittà da parecchi lustri promuoviamo una mobilità ciclistica, siamo di parte e siamo “una parte” del vasto mondo delle due ruote.

Questa piccola indagine che abbiamo promosso, tramite il lavoro di intervistatore di Giosuè Ballerio e la disponibilità ad essere intervistate di 8 persone che usano nella nostra città la bicicletta, parte da alcuni quesiti che ci siamo posti e che vogliamo porre per un dialogo varesino sul tema: “Varese, il futuro della bicicletta”.

Il primo quesito riguarda le motivazioni che stanno alla base della scelta di pedalare, che sappiamo essere diverse e spesso molto forti, tanto da creare una certa dipendenza nei confronti di questo macchinario che storicamente non è l’invenzione di un genio ma il prodotto di ingegnose innovazioni nell’arco di alcuni decenni del XIX secolo. Alla bici è riconosciuta una natura inclusiva, non solo perché compatibile con alcune disabilità, ma anche riguardo all’aspetto generazionale: inizi a cercare l’equilibrio a pochi anni di età, (la bici infatti è anche un gioco, oltre che un attrezzo sportivo e un mezzo di trasporto) e puoi condurla fino alla fine del tuo tempo terreno.

In questo la tecnologia recente dà un aiuto grazie ai modelli a pedalata assistita.

Il secondo quesito è quello già espresso poco sopra, cioè se è possibile considerare un movimento culturalmente unitario quello che è oggettivamente separato dalla duplice natura della bici (mezzo sportivo oppure mezzo di trasporto).

In concreto: qui a Varese come ovunque nel mondo una persona alla domenica può partecipare ad una granfondo o una gara di mtb, ed il lunedì può andare al lavoro con una bici (diversa da quella della competizione), ma può definirsi ciclista in entrambe le situazioni e sentirsi dentro uno stesso gruppo sociale che lo rappresenta?

Lo faremo provando a raccontare le duplici esperienze, e se Varese e il suo territorio sono in grado di recepire allo stesso modo i due modi di vivere la bicicletta.

Se la risposta fosse – ottimisticamente – sì, resterebbe da spiegare perché di fatto Varese è a livelli eccellenti nel mondo per il ciclismo sportivo e invece in situazione molto arretrata per l’uso della bici come mezzo di trasporto.

Il terzo quesito riguarda il futuro: cosa si può fare a Varese per promuovere l’uso della bici sin da piccoli?  Ammesso che questo abbia una valenza educativa e sociale in senso lato (per noi ce l’ha, perché consideriamo saper pedalare un’abilità di base, quindi un diritto da garantire a tutti i bambini e tutte le bambine). 

Proveremo a costruire un discorso unitario rimbalzando da una risposta all’altra dei nostri intervistati, ipotizzando di averli presenti nello stesso luogo nello stesso momento, sempre grazie alla rielaborazione del nostro intervistatore: le risposte infatti sono, per ovvie ragioni, sintetizzate e riassunte per una migliore fruizione del testo, pur cercando di mantenere il nocciolo del messaggio. Per chi fosse interessato, le interviste integrali, nei quali tutti i punti e altri che stanno particolarmente a cuore ai singoli intervistati, sono disponibili cliccando i link in fondo all’articolo. 

Buona lettura!

Ciao a tutti e tutte, com’è nato il vostro rapporto con la bicicletta? Quali sono le vostre motivazioni? E se doveste indicarle in percentuali, come sarebbero divise?

Lorenzo, 31 anni – Mi piace sapere che ci metterò sempre lo stesso tempo a compiere un tragitto, perché dipende da me. Mi piace sapere che mi muovo con le mie gambe, che sono autonomo, che mi do una svegliata la mattina quando vado al lavoro. Sono indipendente con un mezzo che potenzialmente non dà fastidio a nessuno. Non dà fastidio all’ambiente. In questo diciamo che mi sento un po’ anche bene con me stesso. Mi dà tante libertà. In questo momento della mia vita la scelta ambientale è molto importante, direi anche un 70%, poi 30% il benessere psicofisico che mi dà, cioè per me è una bella sensazione pedalare ad esempio al mattino mentre vado al lavoro. 

Andrea, 38 anni – Cosa mi piace? A me è sempre piaciuto misurare le distanze in modo diverso. Quando guido sono sempre un po’ frenetico, invece andare in bici è proprio un’altra concezione: essere più tranquilli, scaricare la tensione e guardarsi intorno. È un modo di vivere il territorio, di percorrerlo e misurarlo. Non lo vedo molto come una competizione. Non cerco tanto di essere competitivo; forse in futuro potrei investire in una bici nuova o essere più rigoroso, magari uscire più spesso. Però, al momento, non mi interessa. Per me è un modo per raggiungere il posto di lavoro o portare i bambini a scuola, per vivere la città in maniera più umana. Direi 30% scelta famigliare, avendo noi una macchina sola, 40% per il benessere psicofisico, 15% per la scelta etica che è usare la bici come mezzo di trasporto, e l’ultimo 15% perché mi piace prendere in giro quelli in macchina!

Michela, 27 anni – Mi incoraggia a farlo il fatto che Varese sia ricca di paesaggi belli da apprezzare mentre si pedala e non occorre spostarsi tanto, inoltre mi pare che negli ultimi anni ci sia sempre più gente che va in bici e infatti ogni volta che incontro qualche altro/altra ciclista lungo la strada divento un po’ più felice, specialmente se vedo che hanno lo zainetto e l’assetto tipico di chi percorre il tragitto casa-lavoro. Sicuramente mi motiva il fatto che a tornare dal lavoro in bicicletta impiego lo stesso tempo che in auto a causa del traffico sempre intenso che c’è a Varese, ma mi sento più libera, con la sola forza delle mie gambe supero delle automobili innervosite in coda e io silenziosa e leggera non lascio tracce dietro di me, niente smog o rumore. Beh, poi un altro dei motivi per cui vado a Varese in bicicletta è che praticamente tutti i parcheggi sono a pagamento e pochi e peraltro è difficile la viabilità con l’automobile all’interno della città per cui andare in bicicletta è sicuramente un’agevolazione e un risparmio di tempo non indifferente.

Daniele, 61 anni – Ho iniziato in età abbastanza avanzata a pedalare, all’incirca sui 28-29 anni; ho cominciato con la mountain bike, che a quei tempi nel ‘95/’96 era veramente all’inizio: un telaio da strada con le gomme un po’ più grosse. C’è stato un primo approccio quasi ludico, poi dopo effettivamente è venuta fuori la passione, ho cominciato ad allenarmi un po’ più seriamente, ho comprato una bici da corsa e poi sono arrivate anche le gare, a dir la verità non tante. Allo stesso tempo mi piaceva viaggiare, vedere qualcosa con la bicicletta. Da Gazzada, quando lavoravo a Schianno, sono sempre andato in bici; quando lavoravo a Varese, sono sempre andato in bici. È un mezzo di trasporto intelligentissimo, ancor di più adesso la bici assistita, che aiuta nei dislivelli. 

Gigio, 57 anni – Domandone! Banalmente potrei dire tutto: mi piace il senso di libertà, mi piace la fatica, mi piace mettere le mani sulla bicicletta, mi piace anche l’aspetto agonistico, guardare il ciclismo in televisione. Vivo la bicicletta a 360 gradi. Mi definirei comunque un ciclo viaggiatore principalmente, status difficile da mantenere perché faccio per metà giornata il giardiniere e per metà giornata quello che ho sempre fatto, cioè il grafico. Allora io dico che il 50% per me la bicicletta è viaggio, e per me viaggio non vuole dire necessariamente andare a 12 ore da qua 12 fusi orari, il viaggio può essere tranquillamente un’esplorazione anche in zone qua vicino dove non sono mai stato, però farlo in bici ha tutto un altro sapore. Direi un 30% il benessere fisico che ti trasmette l’andare in bici come qualsiasi attività sportiva, ho anche un passato con la corsa a piedi. Il 20% tutti quegli altri piccoli aspetto come la manutenzione, l’agonismo ecc.… anche se con le bici moderne è sempre più difficile far da sé a casa!

Cristina, 58 anni – Come mi sono avvicinata alla bici… diciamo che da ragazza correvo a piedi, poi mi sono sposata presto e ho abbandonato un po’ lo sport per vari motivi. Poi una decina di anni fa ho cominciato ad avere una bici, prima per portare in giro la mia ultima figlia col seggiolino e poi per andare a lavorare. Ho visto che mi piaceva e verso il 2013-14 ho comprato una mtb, poi una bici da strada e da allora ho sempre pedalato. Poi mi sono affiliata a una ASD, anzi più di una, perché poi esco un po’ con tutti, mi piace condividere la strada, ed è una cosa bella secondo me, perché sono i momenti in bici quelli in cui mi sento davvero libera di fare quello che voglio, con i miei limiti fisici ma che a volte puoi anche superare. Esco anche da sola, per rilassarmi e scaricarmi. Poi mi piace perché abbiamo un territorio che si presta veramente a fare di tutto, e conoscerlo in questi anni in bicicletta è stata la scoperta più bella, e non mi capacito di come a volte certe persone non conoscono che le quattro strade principali per andare in città. Non da ultimo il fatto di fare uno sport che ti mantiene in salute, che ti costringe a fare le visite mediche agonistiche dove sei controllato. Il 50% è proprio la mia passione che non diminuisce, che ogni volta si ripete e si amplia quando esci e capisci di stare bene. Poi farei 20% per l’aspetto di relazione, le compagnie con cui pedalo, e il 30% il benessere fisico.  

Alessandro, 60 anni – Io arrivo dall’atletica, dove correvo gli 800, poi per via di qualche infortunio ho iniziato usare la bici come strumento di riabilitazione e recupero, essendo meno traumatica della corsa, quindi poi alternavo bici e corsa, ma in maniera naturale ho smesso di correre, portando avanti solo la bici perché si iniziavano a creare nuove amicizie, nuovi gruppi, nuove compagnie. E quindi poi ho iniziato a gareggiare, in mtb e su strada, che era un altro modo di condividere la passione con gli amici.; oltre ad andare in bicicletta e partecipare a gare, sono organizzatore della Gran Fondo Tre Valli Varesine e la Gravel Tre Valli Varesine. Due cose completamente differenti, una gara competitiva e un’experience dove possono partecipare tutti con qualsiasi tipo di bicicletta. 

Matteo, 24 anni – Il mio rapporto con la bicicletta è molto intenso sin da quando sono piccolo, ci sono andato sempre e oggi ne faccio un doppio utilizzo: utilizzo sportivo, a dir la verità abbastanza sporadico, quando magari ho necessità di sfogarmi o voglia di apprezzare il nostro territorio, e poi un utilizzo quotidiano con una bici a pedalata assistita. La utilizzo per raggiungere la stazione, per andare in aula studio, se devo fare commissioni, acquisti, incontri con amici. Per spostamenti sotto i 10 km utilizzo quasi esclusivamente la bicicletta. La percentuale più ampia la darei sicuramente la scelta ambientale, per avere un’impronta il più piccola possibile. Una percentuale importante la darei anche alla praticità, scelgo la bici in quelle tratte dove so che arrivare in macchina è piuttosto ostico e frustrante. Infine, una scelta di benessere, che include anche il poco utilizzo sportivo che faccio della bici: con la bicicletta si è liberi, non si è dentro un involucro, si ha a contatto con le persone, con i profumi, vedi più i dettagli che in macchina ti perdi. Me l’aveva fatto notare qualcuno, ed in effetti penso che sia vero, la bici è un mezzo di maggiore socialità: più volte in bici mi capita di incontrare qualcuno a piedi, un amico, ti fermi e poi riparti.

Potreste definire Varese una città bike-friendly? Quali sono le criticità che riscontrate? In termini di infrastrutture, sicurezza, rapporto con gli automobilisti e così via, cosa potete dirci? Ci sono azioni che si possono fare per migliorare? 

Lorenzo – Mi piacerebbe che più persone scegliessero la bici, soprattutto vedendo quante auto con un solo passeggero riempiono le strade. Varese ha una grande storia ciclistica, ma la città è ancora poco sicura per i ciclisti: traffico, caos e poche infrastrutture adeguate. Le ciclabili sono poche e non sempre protette. Mi piacerebbe vedere colonnine di ricarica per e-bike, piccole stazioni di manutenzione e più manifestazioni pacifiche in bici per sensibilizzare. È importante anche avere parcheggi sicuri per le bici, cosa che manca in città se non nelle stazioni. 

Andrea – È chiaro che non basta un piccolo tratto di ciclabile, anche se può aiutare. Varese non è una città facile, con salite e discese, ma con le bici a pedalata assistita la situazione migliora decisamente. Prima, senza bambini, non usavamo quasi mai la macchina, anche se c’era sempre il timore di lasciare la bici in giro. Mia moglie, abituata a Milano, notava la mancanza di spazi esclusivi per le biciclette qui a Varese. Si potrebbe migliorare con una segnaletica adeguata, senza dover per forza creare ciclabili. Credo nella politica dei piccoli passi diciamo. Ora, con i bambini, cerchiamo di portarli a scuola in bici. È difficile, ma abbiamo notato che gli automobilisti sono molto più attenti quando vedono un bambino in bici, e questo è fondamentale. Facciamo un percorso da Casbeno alla Brunella, e per esempio la creazione di una piccola corsia su via Sanvito ha aumentato notevolmente la sicurezza, specialmente per i bambini.

Michela – Basterebbe applicare misure che facilitino la mobilità ciclabile: piste ciclabili ben visibili e pavimentate regolarmente per agevolare tutti, dai bambini agli anziani, e corsie sopravanzate ai semafori per dare precedenza alle bici. Servirebbero anche parcheggi sicuri per le bici vicino a negozi, uffici, e un servizio di bike sharing efficace, oltre a incentivi per l’acquisto di bici e magari un mercato cittadino delle biciclette. Inoltre, dovrebbero esserci limitazioni al traffico automobilistico. Non condanno le auto, alcune persone devono usarle, ma per chi può pedalare? Serve sensibilizzazione nelle scuole, pannelli stradali che informino su sicurezza e comportamento, e incentivi per le bici elettriche. Sarebbe bello anche organizzare giornate dedicate alla bici, con laboratori, consigli e manutenzione, magari legati a eventi ciclistici locali. Inoltre, incentivi per portapacchi, carrelli e seggiolini renderebbero la bici utile per le commissioni quotidiane. Infine, servono ciclabili continue e sicure, anche per chi viene da fuori città.

Daniele – Quando è nata la pista ciclabile del lago di Varese, molti erano scettici, considerandola una spesa inutile. Oggi nessuno la criticherebbe, ma mancano comunque altre infrastrutture. Alcune ciclabili sono solo adattamenti che restringono la carreggiata e creano situazioni pericolose. Sebbene siano necessarie, spesso non vengono curate o collegate adeguatamente, e la morfologia del territorio non aiuta. Più che sulle infrastrutture, bisognerebbe puntare sull’educazione di ciclisti, pedoni e automobilisti, spesso distratti e impazienti. Ho ricevuto insulti senza motivo solo perché ero in bici, ma vedo anche ciclisti che non rispettano le regole. A Varese, dove gli spazi sono limitati, l’educazione è fondamentale. In altri paesi si parte dall’infanzia, e qui ci vorranno generazioni per cambiare la mentalità. Spesso le iniziative pro bici che vengono realizzate sembrano fatte per facciata, senza una vera cura, dimostrando che manca un vero impegno culturale verso la bici. 

Gigio – Uso la bici tutti i giorni per andare da Varese a Gallarate e per le commissioni in città, dopo aver rinunciato alla macchina 14 anni fa. L’esperienza non è positiva, ogni giorno affronto almeno 2-3 situazioni critiche. Col tempo si impara a gestirle, ma nonostante il numero crescente di ciclisti, la situazione delle strade non è migliorata. È un problema culturale perché in altri paesi ho sperimentato che non è così. Non credo che le ciclabili siano la soluzione definitiva, soprattutto in città come Varese. Serve invece educare automobilisti e ciclisti a convivere, perché le ciclabili prima o poi finiscono e bisogna stare in uno spazio promiscuo. Un cambiamento culturale è più lungo ma più efficace per la sicurezza. Potremmo iniziare dalle scuole guida, con più formazione sul rapporto tra bici, auto e pedoni. Servirebbero incentivi come spogliatoi nelle aziende per chi va al lavoro in bici o parcheggi sicuri, soprattutto per bici di valore. Un’idea potrebbe essere rendere la bici più “cool”, magari con una campagna di marketing mirata ai giovani tra i 20 e i 30 anni, sfruttando anche influencer per cambiare la percezione della bici nella società, che pare sia un po’ “da sfigati”.

Cristina – Non mi è mai capitato di essere malvista in bici, ma sono sempre molto prudente, specialmente ora che ho un sensore che mi segnala le auto sul ciclocomputer. Uso anche uno specchietto, che trovo molto utile nonostante alcuni lo trovino antiestetico. Mi è successo un paio di volte di essere stretta sul lato, ma con tante ore in bici, può capitare. Mi rendo conto che c’è molta disattenzione verso i ciclisti. Capisco l’irritazione verso i grandi gruppi del weekend che occupano le strade, ma è importante evitare generalizzazioni: serve rispetto reciproco, perché un giorno sei in bici e un altro in auto. Varese ha una lunga tradizione ciclistica, anche grazie alla presenza della Binda e l’organizzazione di gare importanti. È un territorio naturalmente più adatto al ciclismo sportivo che al trasporto urbano in bici. Anche perché ricavare spazi per le bici in città è complicato, lo dico anche per esperienza da ex amministratrice. Tuttavia, non vedo la situazione della mobilità dolce a Varese come così tragica: si può girare bene a piedi o con i mezzi pubblici. Si potrebbe comunque promuovere maggiormente la cultura del ciclismo tramite associazioni come Varesedoyoubike o FIAB stessa. 

Alessandro – Varese non è una città facile per l’uso quotidiano della bicicletta. A differenza di paesi come Olanda, Belgio o Svizzera, dove la morfologia del territorio e il traffico meno caotico permettono di avere ciclabili sicure e lunghe, qui le strade sono strette, intasate e molto antropizzate. Per questo, la città non è ancora bike friendly e c’è ancora tanto da fare. Senza dimenticare che il rispetto deve essere reciproco. Penso che servano sia infrastrutture che cultura. Serve quindi una progettazione migliore, con ciclabili separate dalla strada. Varese, tra l’altro, ha un grande potenziale anche per il turismo legato al ciclismo. A mio parere serve un’azione congiunta di tre attori principali: società sportive come la Binda, le istituzioni e le aziende produttrici di biciclette. La Binda deve continuare a creare occasioni e sensibilizzare gli appassionati; le istituzioni devono intervenire sia a livello scolastico che infrastrutturale; mentre le aziende dovrebbero rendere le bici più accessibili, investendo anche nel marketing per far conoscere meglio i loro prodotti, incluse le bici urban e cargo, che potrebbero sostituire una seconda auto. In definitiva, la bicicletta ha tantissimi aspetti e i benefici per la società sarebbero enormi, dal miglioramento dell’ambiente, con meno auto in strada, al benessere personale e alle nuove opportunità economiche che si aprirebbero.

Matteo – Andare in bici a Varese ad oggi è rischioso, e lo si fa o per passione o per motivazioni forti che ti spingono ad accettare il pericolo. Richiede molta attenzione a causa della scarsa considerazione degli automobilisti. Le infrastrutture ciclabili sono spesso inadeguate e mal curate. Per migliorare la situazione, è fondamentale lavorare sia sulle infrastrutture che sulla cultura della sicurezza stradale. Le scuole dovrebbero promuovere l’uso della bici offrendo educazione e spazi dedicati che agevolino l’utilizzo, e le famiglie dovrebbero richiedere migliori infrastrutture. Ridurre i parcheggi per auto, rendere la vita più difficile agli automobilisti e incentivare il car sharing potrebbe contribuire a migliorare la sicurezza. Sebbene il bike sharing possa essere utile in certe situazioni, chi usa la bici quotidianamente preferisce avere una propria, quindi se l’obiettivo è quello bisognerebbe più che altro incentivare l’acquisto della bici personale.

Proviamo a volgere lo sguardo alle giovani generazioni: un po’ l’avete già detto, ma cosa fare per offrire in futuro una Varese migliore per le biciclette? Che azioni fare sulle giovani generazioni? Vi sentite un po’ ambasciatori della bici? Avete occasioni in cui poter essere una voce di diffusione?

Lorenzo – Ho partecipato per due volte ad un campetto per ragazzini e ragazzine scout a tema ciclismo, e sicuramente è una bella azione; ogni tanto più che di incoraggiamento ho momenti simpatici e ironici con i miei nipoti, e sfrutto un po’ l’occasione per metter loro “il tarlo” della bici. L’azione grande è da fare nelle scuole: dobbiamo regalare caschetti da bici a tutti! O implementare i famosi corsi di educazione stradale, con il vigile urbano comunale, presentando un po’ di più la figura del “bimbo ciclista”, e cercare il dialogo con le famiglie per avere anche il loro appoggio.

Andrea – Io ho due figli, da poco hanno imparato ad andare in bici e proviamo a portarli a scuola così, uno sul seggiolino e uno che pedala. È difficile e faticoso per tanti motivi. Però è bello e importante, prima di tutto perché li gasa tantissimo! Quando sanno che devono andare in bici partono con uno spirito diverso, piuttosto che prenderli, metterli in macchina e poi metterci in coda dopo 10 m. La mattina su via XXV Aprile, superiamo una valanga di macchine. Penso poi che li faccia crescere e maturare perché devono iniziare a capire che quando sono in strada non stanno giocando, anche se la bici è un gioco all’inizio. È un motivo per sentirsi importanti, ed essere consapevoli che possono arrivare nello stesso punto di tutti con le loro gambe. Oltre che a livello culturale e di mentalità, poi uno deve anche sviluppare una parte fisica, e un’educazione al far fatica: quando li accompagniamo a scuola, è chiaro che al mattino è tutta salita. Un po’ mi è spiaciuto quando Leonardo di FIAB ci raccontava che si sono un po’ slegati dal mondo della scuola, penso potrebbe essere una cosa molto bella e utile. Infine, qualche tempo fa abbiamo conosciuto una famiglia che si muoveva in cargobike, e penso possa essere utile la formazione di una piccola community di famiglie che si muovono in questo modo, per poter creare delle occasioni per agganciarsi, anche per vivere la città insieme magari e condividere le esperienze.

Michela – Direi proprio di sì, ci credo molto e ne vedo anche i risultati, lavorando con bambini e ragazzi loro mi vedono spesso arrivare in bici e quando faccio regali o pensierini per loro non mi dimentico di questa mission: ho regalato campanellini per la bici a tutti a fine anno, ho fatto fare anche delle piccole attività sulla mobilità sostenibile. Però vorrei aggiungere che…. io incoraggio anche gli adulti ad usare la bici! Se un adulto fa il classico “ciclista della domenica” come peraltro faccio io nel weekend, perché abbandonare la tanto desiderata bicicletta durante gli spostamenti della settimana? Tutte le fatiche logistiche possono essere risolte con un po’ di organizzazione, e perché no qualche rivendicazione al datore di lavoro. 

Daniele – Adesso come adesso l’approccio della bici per molti ragazzi da quello che vedo è quasi esclusivamente per questione sportive. Come mezzo di trasporto, vedo molto poco utilizzo, ma perché come dicevo bisogna partire da molto piccoli… c’è anche un tema di immagine credo, cioè che qui magari sei visto un po’ come sfigato quasi, mentre in altri paesi è “normale” usare la bici come mezzo di trasporto. Sarò banale, ma bisogna partire dalle scuole, insegnando e spiegando a delle menti fresche le possibilità della bici, cosicché poi la persona cresciuta possa fare delle scelte. E insieme alle scuole il lavoro dei genitori, in famiglia, sempre ad abituare fin da piccoli. E tutte le altre cose, la fatica, la scomodità, il maltempo, diventano ostacoli superabili se uno è educato ad affrontarle. O ad esempio usare anche le cargobike per varie situazioni, come facevo con le mie figlie. Ci vuole un’educazione a 360 gradi. Ed è possibile, perché in alcune zone d’Italia di confine sono già più avanti rispetto a noi. Mi sembra strano che non arrivi anche a noi; da noi non vedo un movimento, una mentalità che si diffonde al momento purtroppo. 

Gigio – Per mia esperienza no, perché non ho figli e quindi non ho un’esperienza diretta, se non quella con i nipoti, che vivendo a Berlino sono già un pochettino più abituati all’uso della bicicletta per andare a scuola, anche da quando erano piccoli, con il carrellino. Diciamo che dal punto di vista lavorativo sì, perché adesso sto disegnando un fumetto che sarà poi pubblicato dalla Fondazione Asilo Mariuccia di Milano per promuovere l’utilizzo della bicicletta nei ragazzi, come dire nei ragazzini più piccoli, quindi in età prescolare. L’idea a grandi linee è mia, i disegni saranno miei, poi l’approfondimento della questione l’hanno curata gli educatori di Asilo Mariuccia che forse hanno il polso della situazione più di quello che posso avere io.

Cristina – Sì, secondo me sì, questo è importante, anche negli anni da sindaco abbiamo provato a portare attività di questo tipo nel comune con la polizia locale, rivolte ai ragazzini nelle scuole, organizzando attività di informazione, organizzando pedalate serali tutti insieme e cose simili. Penso sia importante comunque l’esempio che i genitori danno, perché se un bambino non è stimolato correttamente diventa difficile. Oltre a questo, io sempre provo, e ogni tanto ci sono riuscita, a spingere miei amici e conoscenti a pedalare e fare escursioni in bici con me.

Alessandro – Noi, come Binda, per la prima volta nella storia avremo tra poco una squadra giovanile. Per quanto riguarda i giovani, credo sia importante non generalizzare le scelte. Certamente, l’agonismo in età troppo precoce può portare a rischi di burnout e abbandono. Penso sia più corretto avvicinare i giovani alla bicicletta come mezzo di divertimento, trasporto e socializzazione, lasciando l’agonismo per chi davvero lo desidera. Per l’utilizzo quotidiano della bici, è cruciale partire dalla famiglia e dalle scuole. Se non c’è sicurezza sulle strade, i genitori non manderanno i figli a scuola in bici. Tuttavia, se non iniziamo a utilizzare la bici come mezzo di trasporto, come possiamo sperare di migliorare? In paesi come la Svizzera, l’Olanda e il Belgio, i bambini iniziano a muoversi in bici fin da piccoli, e poi continuano a usare la bici anche da adulti. Educazione e infrastrutture devono andare di pari passo. Noi cerchiamo di promuovere la bici anche attraverso eventi come il villaggio della Granfondo ai Giardini Estensi, per mostrare a 360 gradi le opportunità offerte dalla bicicletta.

Matteo – Sì, cerco abbastanza di diffondere la mobilità dolce, più con miei coetanei che con i bambini piccoli, ma perché non ne ho occasione. A dir la verità con scarsi risultati, devo essere sincero, però provo a presentare questo punto di vista. Come dicevo già prima, è essenziale iniziare a muoversi dalle scuole, per fare sia sensibilizzazione e informazione, sia azioni concrete come avere posti sicuri dove lasciare la propria bici. Se mancano servizi basilari come questo, come si spera che si diffonda l’utilizzo della bici?  

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Pubblicato il 17 Settembre 2024
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