E nel 1974 scoprimmo il reggae col suo profeta Bob Marley e i suoi Wailers
Ce ne avevano dato un’anteprima Paul Simon e Eric Clapton
Chi è più giovane può forse credere alla fola della Berté che, in vacanza in Giamaica nel ’79, scopre una musica assolutamente nuova per l’Italia, compra i dischi, li porta a casa e incide E la luna bussò.
Chi allora seguiva il rock ricorderà che i dischi li avrebbe potuti tranquillamente comperare a Roma, visto che nel ’79 eravamo già abbastanza stufi di sentire il reggae (il concerto del 1980 fu un’altra questione) che, complice il solito Massarini, avevamo importato da Londra nel 1974 con questo disco.
Era una musica che da fine ’72 aveva varcato i confini natii, ed anche molti artisti non giamaicani (Paul Simon, Eric Clapton…) l’avevano inserita nel proprio repertorio. Fu Chris Blackwell della Island Records, casa giamaicana che però si occupava anche di altri generi, che mise sotto contratto internazionale il gruppo top: gli Wailers di Bob Marley, Peter Tosh e Bunny Wailer.
Dopo due dischi i tre si separarono e, con il nome Bob Marley & The Wailers, andò avanti la carriera luminosissima del vero “Profeta del reggae”, che già qui comincia a lasciarci qualche brano-simbolo come No Woman No Cry. Ci torneremo.
Curiosità: un po’ per beghe contrattuali e molto per vero altruismo, Marley registrò i diritti di quasi tutte le canzoni di Natty Dread a nome di altri, per assicurare loro un futuro. No Woman No Cry fu attribuita a tal Vincent Ford, un musicista in sedia a rotelle che gestiva una mensa per poveri a Trenchtown e che lo aveva aiutato in passato.
La rubrica 50 anni fa la musica
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