Il rettore uscente Visconti: “La Liuc si è mossa bene in un mare in tempesta”
Dopo nove anni lascia la guida dell’ateneo di Castellanza con una serie di risultati: l’aumento delle matricole, l’incremento della ricerca e i progetti di divulgazione e cultura (la terza missione) ma soprattutto la passione trasmessa a migliaia di studenti
«Guai se le poltrone non si trasformano in panchina». La metafora del prevosto di Legnano piace moltissimo a Federico Visconti per due motivi: è una metafora calcistica e il rettore uscente dell’Università Liuc non ha mai nascosto la sua passione per questo sport e per la fede nerazzurra. La seconda è una questione di coerenza e riguarda il ricambio generazionale. «Non basta dichiarare che il futuro sono i giovani se poi non sposti le terga dalla poltrona, non va mica bene» dice Visconti.
Professore che cosa farà ora dopo questi nove anni alla guida della Liuc?
«Se tu assumi un ruolo e lo interpreti responsabilmente è la responsabilità stessa che ti fa dire che devi smetterla. Questo è il concetto di responsabilità. C’è un punto in cui per il bene dell’istituzione è anche della persona si deve dire basta. È giusto che questo ruolo lo prenda qualcun altro, io l’avevo già deciso da un po’ di tempo, condividendo questa scelta con la proprietà così da generare un sano distacco. Pertanto tornerò in aula e farò delle cose belle con progetti nuovi. Sono sentimentale solo quando gioca l’inter».
Qual è il suo bilancio di questi nove anni da rettore con pandemia annessa.
«È stato un bell’allenamento. La parola bilancio per definizione si collega ai risultati prodotti e ai risultati mancati. Provo soddisfazione per la crescita del numero degli iscritti. Quando sono arrivato viaggiavamo sulle 650 matricole, poi abbiamo avuto picchi di 1100 iscritti. Oggi ci assestiamo sulle 900 matricole. È il parametro più aziendale di tutti perché è quello che sostiene i ricavi. Tenuto conto della crisi demografica e della concorrenza delle università telematiche. Abbiamo riportato al centro l’accademia, siamo cresciuti nella ricerca, dove non eravamo ben posizionati, abbiamo avuto una buona crescita della Business School che non esisteva e si è posizionata con un discreto successo rispetto alla Bocconi business School o al Polihub. E poi per quanto riguarda la terza missione abbiamo fatto tante cose belle sul territorio. Penso alla nostra piccola collana editoriale. Altro indicatore è il legame con le scuole del territorio con cui facciamo molte cose insieme. Quindi il bilancio è di soddisfazione. La Liuc si è mossa molto bene, in un mare che da un po’ di tempo è in tempesta».
Quanto ha influito questa impostazione sul placement dei laureati made in Liuc?
«I nostri studenti hanno un alto tasso di occupabilità, un dato che viene confermato sistematicamente da Almalaurea (consorzio interuniversitario, ndr). Ancora prima di finire gli ingegneri gestionali della Liuc sono opzionati dalle aziende. Di contro facciamo fatica ad attrarre perché i concorrenti che abbiamo sono fortissimi e noi costiamo più degli altri. Detto questo, la cura che c’è nel rapporto tra studenti e docenti nel sistema Liuc è notevole e poco dispersiva».
Oggi stanno spopolando le università telematiche. Quanto conta la fisicità nel suo modello educativo?
«Il concetto di università come luogo educativo passa attraverso la fisicità. Avere i numeri più contenuti e gli spazi adeguati rende migliore il rapporto con il professore che non è un’entità astratta, ma una persona fisica con cui lo studente può parlare e confrontarsi. Nel nostro ateneo lo studente può fare esperienza nei laboratori, a cominciare dall’IFab fino al Green hub. Recentemente abbiamo avuto come ospite in Liuc lo psicoterapeuta Alberto Pellai che ha detto una cosa che mi ha colpito molto: noi stiamo vivendo l’età dell’ansia. Questo sentimento non è che lo combatti chiudendoti in una stanza e facendo lezione con il computer. La Liuc mette al centro lo studente con un sistema di relazioni che si svolgono in aula, nei laboratori, in biblioteca e anche al bar che abbiamo da poco ristrutturato. È un’esperienza fondamentale che lo studente vive con la sua vita, i suoi sentimenti e la sua persona e che lo aiuta a crescere. È nel bagaglio di esperienze che uno studente deve avere».
La Liuc è un’università fondata da imprenditori abituati da sempre a mettere il proprio nome sull’insegna e la propria faccia nelle relazioni. Un richiamo alla concretezza che è fondamentale al pari della visione per poter mettere in piedi un’azienda. Questa impronta originaria la ritrova in una generazione nata e cresciuta a pane e social?
«La Liuc quel richiamo originario ce l’ha dentro come un fenomeno carsico. Un fenomeno che ha molte facce: una volta sono le testimonianze degli imprenditori e dei manager che vengono in aula, un’altra volta è il libro che tratta i casi aziendali, un’altra volta ancora è l’esercitazione innovativa. Penso agli stage e ai tirocini che alimentano il legame, tra studente e azienda. A volte vado in sedute di laurea e ascolto ragazzi di 21 anni che hanno fatto una progettazione per un nuovo layout di un’azienda meccanica. Insomma, qualcosa direi che hanno imparato. Quindi quel filo rosso di vicinanza alla concretezza che l’ateneo ha intravisto 35 anni fa non solo è stato mantenuto ma è stato sviluppato e declinato bene. L’impronta originaria per fortuna c’è ancora ed è forte».
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