Un progetto per svelare i segreti del pietrificatore di Lodi, il team guidato da una docente dell’Università Insubria di Varese
Lo studio, dal titolo «Under the skin», è guidato da Ilaria Gorini, docente di Storia della medicina dell’Università dell’Insubria e ha come obiettivo lo studio della collezione anatomica «Paolo Gorini»
Ha preso il via «Under the skin», progetto premiato e finanziato da Fondazione Cariplo, nell’ambito degli interventi Emblematici Minori 2023, e promosso dalla Fondazione Comunitaria Onlus di Lodi. Coordinato dal Centro di ricerca in Osteoarcheologia e paleopatologia dell’Università dell’Insubria, ha come obiettivo lo studio della collezione anatomica «Paolo Gorini», una raccolta di circa 200 preparati che includono teste, torsi, a cui si affiancano interi corpi, tutti pietrificati intorno alla metà dell’Ottocento dallo scienziato lodigiano, creati per documentare patologie e peculiarità anatomiche.
Come evidenziato già nel titolo, il progetto intende indagare «sotto la pelle» di queste parti anatomiche che si sono conservate pressoché immutate per quasi duecento anni, per svelare quello che l’occhio seppur attento dell’osservatore non può acquisire. Sono infatti ancora numerosi gli aspetti irrisolti intorno alla collezione di Lodi, unica nel suo genere, e tanti sono gli interrogativi che cercano ancora risposta, come quelli sulle tecniche, solo in parte comprese, adottate nel processo di conservazione.
Il progetto ha ricevuto un sostegno economico di 110.900 euro e beneficia del supporto della Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio per le province di Cremona, Mantova e Lodi, nonché di Asst, Comune, società di cremazione «Paolo Gorini» di Lodi, di Crocevia Aps, con la collaborazione della Proloco di Lodi.
Lo studio è guidato da Ilaria Gorini, docente di Storia della medicina dell’Università dell’Insubria, e da Omar Larentis, assegnista dell’Università di Trento, rispettivamente direttrice e coordinatore del Centro di ricerca in Osteoarcheologia e paleopatologia dell’Università dell’Insubria che fa capo al Dipartimento di Biotecnologie e scienze della vita. Vi collaborano Alberto Carli, docente di Letteratura italiana contemporanea dell’Università degli Studi del Molise, e Francesca Malaraggia, entrambi esperti conoscitori della figura di Paolo Gorini e della sua collezione: la loro esperienza e le competenze acquisite nel corso delle loro ricerche assicureranno una gestione e uno studio ottimali di una collezione museale così complessa.
Le indagini si svolgeranno all’interno degli spazi dell’antico ospedale di Lodi dove è accolta la collezione. All’analisi degli aspetti macroscopici e all’approfondimento dei caratteri biologici, seguirà l’indagine radiologica: l’impiego di strumentazione all’avanguardia rese disponibili dell’azienda Fujifilm Italia consentirà l’acquisizione di immagini inedite che mostreranno quello che fino ad ora non è stato possibile vedere, ovvero le strutture interne ed il loro stato di conservazione.
Sui composti e sulle tecniche utilizzate da Paolo Gorini interverrà Laura Rampazzi, docente di Chimica analitica dell’Università dell’Insubria, che potrà avvalersi della microscopia elettronica e dell’impiego di sofisticate analisi chimiche. Inoltre, Stefano Vanin, entomologo presso l’Università di Genova, fornirà informazioni sulle condizioni igienico-sanitarie dell’epoca.
«La collezione anatomica Paolo Gorini è unica per la natura dei reperti che la costituiscono e dunque rappresenta un’interessante fonte di studio per la storia della medicina. L’approccio multidisciplinare previsto in questo progetto è sicuramente il percorso scientifico più corretto ed il coinvolgimento di numerosi specialisti nell’ambito dell’antropologia, della storia, della radiologia, dell’entomologia ci consegnerà una visione ricca di dettagli», spiega Ilaria Gorini, che sottolinea di essere solo omonima dello scienziato lodigiano. E aggiunge: «Fra gli obiettivi del progetto c’è anche l’impegno di donare alla comunità questo patrimonio nella sua completezza, poiché una parte della collezione è esposta al pubblico, ma numerosi reperti devono ancora essere studiati, restaurati ed esposti, per ottenere un corpus omogeneo fruibile dalla comunità. Il progetto vuole essere risolutivo nello svelare aspetti ancora sconosciuti ma anche nel predisporre le condizioni necessarie per richiedere l’accreditamento della collezione ad ente museale».
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