Idranti aperti con relativo allagamento di parte della struttura; quadri elettrici saltati; suppellettili scaraventate contro il muro e tutto ciò che poteva essere usato come proiettile lanciato a mano: erano in tre ai Miogni l’estate di sette anni fa, e hanno causato danni per migliaia di euro, ora a carico dello Stato, essendo gli artefici di questi fatti stranieri e successivamente espulsi dall’Italia.
Ora, per quei fatti, è arrivata anche una condanna pronunciata mercoledì dal giudice monocratico di Varese, Rossana Basile: due imputati condannati a sei mesi di carcere per danneggiamento (uno dei due rispondeva anche del reato di resistenza a pubblico ufficiale, ma è stato assolto), mentre il terzo, per lo stesso reato oltre alla resistenza a pubblico ufficiale – per aver dato in escandescenze quando gli agenti della polizia penitenziaria tentarono di contenerlo – è stato condannato a sette mesi di carcere.
Si è parlato di rivolta, e rivolte ai Miogni ce ne sono state, anche importanti, ma l’episodio avvenuto nell’estate del 2018 fu piuttosto una protesta nata per ragioni poco chiare, che per fortuna non si estese agli altri detenuti. Tuttavia, bastò a causare una serie di danni e devastazioni che portarono prima alla redazione di una relazione inviata alla Procura e poi alle indagini, sfociate in un processo penale celebrato in contumacia, poiché i tre, marocchini, sono stati nel frattempo allontanati dal territorio nazionale.
I fatti avvenuti l’11 agosto 2018 sono stati ritenuti dal giudice meritevoli di responsabilità penale: oltre ai danneggiamenti, ci furono anche minacce rivolte agli agenti della polizia penitenziaria, come frasi pesanti che, a quanto pare, non sono state incluse nel capo d’imputazione. I tre avrebbero gridato alle forze dell’ordine: «Vi ammazziamo», prima che la situazione venisse riportata alla calma e scattasse la denuncia.
Gli imputati erano difesi dall’avvocato Federico Bossi e dall’avvocata Alessandra D’Accardio.
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