Oltre il manicomio: una lezione per la Repubblica del futuro

La riflessione di Giuseppe Geneletti che invita a tornare a guardare l’altro come persona, non come funzione. A rimettere al centro la relazione, il dubbio, il conflitto. A chiederci: quali manicomi invisibili esistono oggi nei nostri contesti quotidiani

franco basaglia

Negli ultimi tre mesi, in casa nostra si è parlato molto di una parola: persona. L’ha scelta mio figlio come tema per una delle sue tesi d’esame di terza media, tra dieci parole proposte. Ha deciso di esplorarla partendo dal concetto di etichetta: come spesso si diventa ciò che gli altri ci dicono che siamo. Una riflessione profonda, forse anche scomoda per un ragazzo di quattordici anni. La scelta è nata anche grazie alla sua scuola che ha allestito una piccola mostra dedicata alla storia di Franco Basaglia e alla rivoluzione che ha portato alla Legge 180, quella che ha abolito i manicomi in Italia.

L’ho visitata anche io. Ho letto ogni pannello con attenzione. E a un certo punto, sono rimasto fermo. In silenzio. Mi sono chiesto: com’è stato possibile che un solo uomo, in pochi anni, sia riuscito a scardinare un intero sistema di esclusione e dolore? E ancora: perché questa storia mi tocca così nel profondo, proprio oggi?
La risposta non si è fatta attendere. Mi occupo di cambiamento nelle organizzazioni da oltre trent’anni.

Ho fatto, come molti, tanti errori. Contribuendo a volte, anche inconsapevolmente, a rafforzare sistemi di controllo e forme di esclusione dentro le aziende dove ho lavorato: attraverso parole, procedure, linguaggi. Magari con le migliori intenzioni, per semplificare, per rendere efficiente, per “guidare il cambiamento”. Ma nel tempo ho capito quanto sottile possa essere il confine tra una struttura che sostiene e una che opprime. Tra una cultura che valorizza le persone e una che le giudica, le classifica, le ingabbia.

E allora Basaglia, oggi, non è solo un pezzo di storia. È un invito. A tornare a guardare l’altro come persona, non come funzione. A rimettere al centro la relazione, il dubbio, il conflitto.

A chiederci: quali manicomi invisibili esistono oggi nei nostri contesti quotidiani? Nei team di lavoro, nelle scuole, nelle famiglie, nei linguaggi aziendali? Ispirato da questa domanda, ho provato a costruire un piccolo modello operativo basato sulla lezione di Basaglia, adattato alle organizzazioni complesse di oggi, dove spesso la libertà è minacciata da etichettamenti, standardizzazione, automatismi culturali.

Qualche esempio?

Ecco alcune leve trasformative, che partono dall’esperienza psichiatrica e si adattano sorprendentemente bene anche ai contesti organizzativi:

Rimettere in discussione l’ovvio: anche un linguaggio burocratico, neutro in apparenza, può rafforzare sistemi disumanizzanti. Il primo passo è sempre ascoltare e chiamare per nome.

Aprire spazi di parola reali, dove il dissenso non sia tollerato ma valorizzato, dove chi lavora possa raccontare la propria esperienza senza paura. In azienda, questo significa progettare spazi non solo di ascolto, ma di dialogo con impatto.

Ridefinire il concetto di “cura”: non è compito esclusivo delle risorse umane o dei manager. È responsabilità collettiva. Una cultura che si prende cura è una cultura che permette alle persone di essere sé stesse, con tutte le loro contraddizioni.

Favorire la co-costruzione dei cambiamenti, superando le logiche dall’alto verso il basso. Anche la trasformazione digitale può diventare un’occasione di libertà, o una nuova forma di gabbia, se imposta senza partecipazione.

La Festa della Repubblica, oggi. Il 2 giugno, Festa della Repubblica, è forse il momento più giusto per ricordare che una Repubblica si fonda sulla libertà, sì, ma anche sulla responsabilità. E che cambiare è possibile, anche nei luoghi più chiusi, anche quando sembra che tutto sia già deciso.

Franco Basaglia non è stato un eroe solitario. È stato un catalizzatore di coscienze. Un medico che ha saputo trasformare la propria autorità in alleanza. Un uomo che ci ha insegnato che la vera rivoluzione parte dal modo in cui guardiamo l’altro. E che ogni giorno, in ogni riunione, in ogni aula, in ogni casa, abbiamo una nuova occasione per iniziarla di nuovo.

La rivoluzione più urgente oggi è imparare a chiamare le persone per nome. “Chi sono i poveri? Quelli senza amici”, persona delle elementari.

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Pubblicato il 02 Giugno 2025
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