Claudio Piani e il mondo come un libro da leggere viaggiando
A Materia il racconto di Claudio Piani e di un’esistenza scelta fuori dagli schemi: dall’Australia alla Mongolia, dal deserto del Gobi all’Himalaya, tra incontri inattesi e lezioni di vita

«Il mondo è un libro e chi non viaggia legge solo una pagina». Claudio Piani, 37 anni, lo ha sfogliato tutto, partendo dalla sua Milano fino all’Everest. Zaino in spalla, autostop, una bicicletta da duecento euro comprata in Cina e soprattutto la voglia di cambiare vita: «Non volevo più seguire i binari che la società aveva già scritto per me, volevo vedere il mondo nella sua genuinità».
Lunedì 6 ottobre, a Materia Spazio Libero di Castronno, il viaggiatore ha raccontato dieci anni di avventure che assomigliano a un romanzo, ma sono vita vissuta. Prima la decisione di lasciare tutto a 27 anni: il lavoro da insegnante, gli amici, la fidanzata, l’appartamento a Quarto Oggiaro. Poi l’inizio di una seconda esistenza, fatta di chilometri percorsi senza aerei, tra Europa dell’Est, Siberia, Mongolia e oltre.
La Mongolia e la lezione del sorriso
Uno dei momenti più intensi, ha ricordato, è stato il periodo passato con i nomadi del deserto del Gobi. Senza una lingua comune, Piani ha scoperto l’universalità di un gesto: «Un sorriso è capito ovunque, a Milano come in Mongolia. È il passaporto migliore per entrare nel cuore delle persone». Da allora quell’insegnamento lo ha accompagnato in ogni viaggio, perfino nei momenti più critici, quando a puntargli un’arma erano i militari o i talebani.
Dal turismo di massa al viaggio autentico
Non tutto, però, è stato idilliaco. In Vietnam e Cambogia Piani si è scontrato con il lato oscuro del turismo di massa, fatto di sfruttamento e diseguaglianze. Da lì la scelta di viaggiare in moto per uscire dalle rotte affollate e incontrare villaggi lontani dalla globalizzazione: «Ho visto bambini con solo un paio di ciabatte più felici degli studenti a cui insegnavo a Milano, che avevano tutto. Questo mi ha fatto riflettere su cosa conti davvero».
Lavorare in Australia, insegnare in Cina
Tra un viaggio e l’altro, Piani si è fermato per mesi a lavorare: in Australia come elettricista, magazziniere e badante, in Cina come insegnante di educazione fisica in una scuola di periferia. Esperienze che gli hanno mostrato società diversissime, tra contraddizioni e scoperte: «In Cina ero l’unico straniero in una scuola da duemila studenti. Mi chiamavano “maestro spaghetto” e venivano a toccarmi i peli sulle braccia perché non ne avevano mai visti. Ma ho trovato una socialità fortissima, molto più viva di quella a cui ero abituato in Italia».
Viaggi estremi: autostop, bici e Himalaya
Il racconto si è fatto avventura pura quando Piani ha ripercorso le migliaia di chilometri percorsi in autostop, dormendo in stazioni, spiagge e case di sconosciuti. Oppure quando, salito in sella alla sua bicicletta, ha attraversato deserti, steppe e montagne: «Ho pedalato nel Tien Shan sotto una tempesta di fulmini, convinto che sarei morto. Il giorno dopo ho letto che in Italia tre ragazzi erano stati uccisi da un fulmine in spiaggia. È lì che capisci quanto la vita sia imprevedibile e che vale sempre la pena provarci».
Il suo ultimo progetto, iniziato nel 2024, lo ha portato da Milano al campo base dell’Everest, diecimila e cinquecento chilometri a pedali e a piedi: «Non è stato solo un viaggio, ma un pellegrinaggio. Ogni passo, ogni incontro, era un modo per allargare la vita».
La riflessione finale
Alla fine della serata, Piani ha lasciato un messaggio semplice ma potente: «Non possiamo sapere quanto durerà la nostra vita. Ma possiamo provare ad allargarla. Per me significa viaggiare. Per altri può essere leggere, imparare, coltivare passioni. Basta non smettere di mettersi in gioco».
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