“Non serve sempre medicalizzare i disturbi dell’apprendimento, la scuola può intervenire efficacemente”
A La Materia del Giorno il professor Cristiano Termine, responsabile della neuropsichiatria infantile dell'ospedale Del Ponte, spiega come il progetto Indaco offra strumenti concreti agli insegnanti per osservare e potenziare le competenze dei bambini in classe, riducendo l’accesso improprio ai servizi sanitari
Nella scuola dell’infanzia e alla primaria, è attivo in Lombardia da tre anni un modello innovativo di osservazione e intervento precoce: il progetto Indaco.
Un’alleanza tra scuola e neuropsichiatria infantile
Indaco è un progetto pensato per intercettare precocemente i segnali di difficoltà nello sviluppo cognitivo, linguistico, motorio e comportamentale dei bambini, prima che diventino vere e proprie diagnosi o problemi strutturati. Un’iniziativa avviata nel 2018 a Varese come sperimentazione, grazie alla collaborazione tra l’ASST Sette Laghi, l’Ufficio scolastico territoriale e le scuole del territorio, e dal 2023 estesa a tutta la Lombardia con il sostegno di Regione Lombardia e Ufficio scolastico lombardo.
A raccontare obiettivi, risultati e sviluppi futuri del progetto è il professor Cristiano Termine, responsabile della Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale del Ponte, uno dei massimi esperti nazionali sul tema dei disturbi dell’apprendimento.
Osservare i bambini nei contesti naturali
«Il progetto Indaco – spiega il professor Termine – nasce per identificare precocemente i bambini che mostrano segnali di possibili disturbi dell’apprendimento o del neurosviluppo, attraverso l’osservazione diretta nei contesti naturali, cioè le classi della scuola dell’infanzia e della scuola primaria».
Le educatrici e gli insegnanti, formati ad hoc, utilizzano griglie di osservazione sistematiche che permettono di valutare abilità linguistiche, attentive, motorie, espressive e comportamentali. Chi evidenzia fragilità non viene subito inviato alla neuropsichiatria, ma inserito in percorsi di potenziamento didattico e pedagogico, condotti all’interno della scuola tra gennaio e giugno.
Due vademecum operativi – uno per l’infanzia e uno per la primaria – aiutano insegnanti e educatori a mettere in pratica attività mirate. A fine anno, una nuova osservazione consente di verificare se il potenziamento ha avuto effetto e se alcuni bambini devono essere segnalati per una valutazione specialistica. Durante l’estate, la neuropsichiatria infantile incontra il responsabile scolastico, il case manager, che presenta i casi considerati fragili: i minori vengono inseriti in un programma di visite specialistiche ma, nell’attesa, maestre ed educatrici attuano dei percorsi specifici di potenziamento anche per l’anno successivo.
Risultati concreti: quasi 30mila bambini osservati
«Solo nell’ultimo anno scolastico – spiega Termine – sono stati coinvolti quasi 30mila bambini in Lombardia. Si tratta di alunni dell’ultimo anno della scuola dell’infanzia e del primo della primaria».
Nel Varesotto, dove il progetto è nato, l’adesione delle scuole è altissima, tra l’80 e il 90% degli istituti statali e paritari. «Un risultato che è stato possibile solo grazie al grande lavoro di squadra con l’Ufficio scolastico, i dirigenti e i docenti».
Più efficacia, meno medicalizzazione
Uno degli obiettivi principali è ridurre il rischio di medicalizzare precocemente ogni difficoltà: «Non è necessario che ogni bambino che fatica in una competenza venga immediatamente visto dallo specialista – precisa il professore –. Il progetto ci permette di filtrare e selezionare con criterio, regolamentando gli accessi al servizio di neuropsichiatria infantile».
Questo approccio, basato sulla collaborazione e sulla formazione continua, riduce anche il rischio di ansia e confusione per le famiglie, e aiuta le scuole a sviluppare una reale cultura dell’inclusione, senza dover attendere una diagnosi per attivare un aiuto.
Una sfida per il sistema scolastico
Il progetto Indaco si inserisce in un sistema scolastico che in Italia è strutturalmente inclusivo, ma anche molto complesso: «I nostri insegnanti – sottolinea Termine – lavorano in classi molto eterogenee, con bambini che presentano difficoltà diverse, comprese quelle legate a contesti migratori o familiari difficili».
Formare docenti capaci di leggere questa variabilità è fondamentale. Per questo, ogni istituto coinvolto ha oggi un case manager, un insegnante con formazione specialistica in grado di fare da tramite tra scuola e neuropsichiatria.
Criticità e rischi se non si interviene presto
Non intercettare precocemente le difficoltà può portare a conseguenze importanti in adolescenza: «Molti disturbi del neurosviluppo non riconosciuti – spiega Termine – possono generare disadattamenti scolastici, isolamento sociale, disagio emotivo e comportamentale. Prevenire significa offrire ai bambini gli strumenti per affrontare meglio la crescita».
Fondi regionali e sviluppo futuro
Regione Lombardia ha creduto fortemente nel progetto, stanziando 1,5 milioni di euro annui a tempo indeterminato, destinati a tutte le UONPIA (Unità Operative di Neuropsichiatria Infantile). Ogni centro dispone ora di un nucleo funzionale DSA dedicato a gestire le fasi del progetto Indaco e ad abbattere le liste d’attesa, soprattutto per le valutazioni nell’ambito dei disturbi specifici dell’apprendimento.
Il progetto proseguirà almeno fino al 2026 con l’obiettivo di estendersi ancora: «Stiamo lavorando con tutte le neuropsichiatrie infantili della regione – aggiunge il professore – per creare sinergie con gli uffici scolastici e ampliare ulteriormente la rete».
Superare lo stigma con una cultura della normalità
Infine, un tema chiave è il superamento dello stigma legato alla diagnosi: «A livello clinico, è importante riconoscere che alcune condizioni necessitano ancora di una diagnosi precisa, un’etichetta, perché solo così possiamo capire di cosa ha davvero bisogno quel bambino e quali tutele è giusto attivare per lui. Ma allo stesso tempo, dentro la scuola, stiamo cercando di superare l’uso rigido di queste definizioni. Più che dire che un bambino è dislessico, è più utile dire che fa fatica a leggere o che legge lentamente. Invece di parlare di discalculia, possiamo dire che quel bambino ha difficoltà nei calcoli o fatica a ricordare le tabelline. Questo approccio aiuta a comprendere meglio le difficoltà senza stigmatizzarle, e a trattarle come parte della normale variabilità umana, così come siamo tutti diversi in altezza, peso o colore degli occhi».
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