A Glocal il dialogo tra giornalisti e avvocati per una comunicazione giudiziaria più chiara e corretta
L’appuntamento ha rappresentato un’occasione per presentare il protocollo d’intesa tra l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, la Camera Penale e l’Ordine degli Avvocati di Milano
Dalle critiche dei cronisti alle restrizioni introdotte dalla riforma Cartabia, fino alla costruzione di un dialogo tra giornalisti e avvocati per rendere più semplice e trasparente la comunicazione, in particolare di notizie giudiziarie. È stato questo il tema dell’incontro “Giornalisti e avvocati: un’intesa per semplificare la diffusione delle notizie”, che si è svolto giovedì 6 novembre nella sala Morselli della Biblioteca Civica di Varese, nell’ambito del Festival Glocal di VareseNews. Protagonisti del dibattito sono stati Giovanni Briola, avvocato penalista e tesoriere dell’Ordine degli Avvocati di Milano; Federico Papa, presidente della Camera Penale di Milano; e Riccardo Sorrentino, presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia. A moderare l’incontro è stato il giornalista Orlando Mastrillo.
L’appuntamento ha rappresentato un’occasione per presentare il protocollo d’intesa che è stato recentemente siglato tra l’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, la Camera Penale e l’Ordine degli Avvocati di Milano. Un documento creato con l’obiettivo di creare un modello condiviso per l’accesso alle informazioni giudiziarie, con regole più chiare e tempi più rapidi per i cronisti.
Ad aprire il confronto è stato l’avvocato Giovanni Briola, che ha ricostruito il contesto normativo all’origine del dibattito:
«Il tema della comunicazione giudiziaria affonda le sue radici nel cosiddetto decreto Cartabia, che recepisce la direttiva europea sulla presunzione di innocenza. È importante chiarire che la Carta non si rivolge ai giornalisti, ma alla comunicazione giudiziaria. Esiste ancora una distanza tra il concetto di interesse pubblico previsto dalla Carta e quello che intendono i giornalisti. Abbiamo assistito a casi di anticipazioni sui giornali di intercettazioni o conclusioni delle indagini prima ancora che fossero notificate agli indagati o ai difensori. Tutto ciò ha mostrato una sostanziale assenza di regole chiare e un rischio di interferenze nel processo. Il protocollo milanese nasce proprio per fornire strumenti, buone prassi e regole condivise».
L’avvocato ha poi sottolineato il nodo centrale dell’intesa: «Abbiamo definito che l’interesse pubblico nel procedimento penale non coincide con quello giornalistico. Si limita alle esigenze del procedimento stesso e alla gravità del fatto reale: oltre questo confine non si va. Molto spesso noi avvocati, sbagliando, partecipiamo a trasmissioni televisive, alimentando clamore mediatico. Dobbiamo invece mantenere sobrietà e misura, valori che devono guidare la nostra deontologia professionale».
Il presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, Riccardo Sorrentino, ha descritto gli effetti della normativa sull’informazione giudiziaria in Lombardia: «Il decreto legislativo Cartabia ha travolto la comunicazione giudiziaria. Ci siamo trovati di fronte a procuratori che non parlavano più, per paura di sbagliare, anche se le sanzioni previste erano solo disciplinari. Questo silenzio ha prosciugato i canali informativi non solo delle procure, ma anche di comuni, vigili urbani, vigili del fuoco e del 118. Nel momento in cui una fonte rischia di essere punita, chi mi dà il documento? Rischiamo di ricevere informazioni solo da chi ha interesse a orientare il messaggio o costruire rapporti strategici con i giornalisti».
Sorrentino ha anche ribadito la necessità di riconoscere la diversità tra i ruoli professionali: «Il lavoro giornalistico è strutturalmente diverso da quello del magistrato o dell’avvocato: noi abbiamo un’urgenza di rapidità, mentre la giustizia ha tempi lunghi e complessi. Eppure condividiamo la stessa responsabilità verso la verità dei fatti. L’informazione provvisoria al termine di un procedimento, per permettere al magistrato giudicante di chiarire il dispositivo ed evitare fraintendimenti, e la concessione dei testi originali – come le ordinanze – ai giornalisti accreditati, ma solo in presenza di un reale interesse pubblico, definito secondo un modello ispirato al codice tedesco di autodisciplina».
Il presidente della Camera Penale di Milano, Federico Papa, ha inquadrato il lavoro dei penalisti all’interno di una riflessione più ampia: «Siamo un’associazione che tutela i diritti e fa politica giudiziaria. Di solito siamo un po’ rompiscatole ma in questo caso il protocollo è nato da un’esigenza condivisa. La cronaca giudiziaria c’è e ci sarà sempre, quindi serviva uno strumento per regolarla. È un concetto difficile da comprendere, perché oggi nessuno ha tempo di aspettare. La gente vuole sapere subito chi è il colpevole. Quando poi, dopo anni, arriva un’assoluzione, l’opinione pubblica si è già formata un giudizio da tempo. Questo è l’aspetto che va cambiato, e deve partire da tutti noi, a cominciare dai più giovani».
Sul piano operativo, Papa ha spiegato che l’obiettivo dell’intesa è anche quello di «eliminare le corsie preferenziali», garantendo a tutti i giornalisti le stesse condizioni di accesso alle informazioni. «Non deve emergere chi ha la fonte prima, ma chi è più bravo a raccontare i fatti. Il rischio, invece, è che il concetto di presunzione di innocenza diventi solo una formula rituale, un bugiardino che nessuno legge più. Nelle indagini più recenti, come quelle sull’edilizia, abbiamo visto molte intercettazioni finite sui giornali, con nomi di terzi non indagati che restano online, associati ingiustamente alle inchieste. È un problema serio: i nomi dei non indagati non devono comparire. Questo è un punto che dobbiamo assolutamente migliorare».
In conclusione un auspicio condiviso: il protocollo siglato a Milano potrebbe diventare un modello nazionale, capace di bilanciare il diritto dei cittadini a essere informati con quello degli imputati e indagati a non subire processi mediatici. A Glocal, giornalisti e avvocati hanno mostrato che un confronto costruttivo è possibile: le regole, quando condivise, non limitano la libertà d’informazione, ma la rafforzano.
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