Gaza e libertà di stampa: a Glocal il racconto di un conflitto senza essere sul fronte
Al festival di giornalismo, Andrea Nicastro, inviato del Corriere della Sera, e Dalia Ismail, giornalista e attivista di origini palestinesi, hanno dibattuto sul tema “La libertà di stampa e il racconto del conflitto a Gaza”
Come raccontare una guerra senza poter essere sul campo? La responsabilità del giornalista è sempre la stessa: verificare le fonti e cercare la verità al di là delle parti per creare una coscienza civile.
Un principio deontologico che Andrea Nicastro, inviato del Corriere della Sera, e Dalia Ismail, giornalista e attivista di origini palestinesi, hanno ribadito nel corso dell’incontro “La libertà di stampa e il racconto del conflitto a Gaza”, che si è svolto la mattina del 6 novembre nella Sala Campiotti della Camera di Commercio di Varese, durante il festival di giornalismo Glocal. A moderare il dialogo, il giornalista di VareseNews Tommaso Guidotti.
Nicastro, che ha seguito sul campo conflitti in Serbia, Kosovo, Iraq, Afghanistan, Venezuela e Ucraina, ha ripercorso decenni di reportage di guerra per mostrare come la verità sia sempre “mediata”: «In Ucraina abbiamo assistito a colleghi con l’elmetto, super schierati con una delle parti. Ogni autorità, in guerra, cerca di controllare il racconto. È naturale. Ma il compito del giornalista deve essere sempre quello arrivare il più vicino possibile alla verità». Un conto, però, è essere sul fronte; un conto è essere “fuori” da un territorio, perchè in quel territorio non si può entrare: «Quella della striscia di Gaza rappresenta sicuramente una delle esperienze più difficili per il giornalismo internazionale – ha confermato Nicastro -. Non si può entrare, non si può vedere. Dipendiamo dalle informazioni che riceviamo da pochi giornalisti locali, spesso improvvisati, che devono avere l'”approvazione” di Hamas. Israele, invece, non ha alcun interesse che notizie provenienti da Gaza circolino».
Nonostante questo, fortunatamente, le immagini continuano ad arrivare, i social le rilanciano e il massacro è evidente per tutti: «Non serve essere sul fronte per capire che a Gaza si sta consumando un genocidio, un massacro epocale – ha detto -; prima ancora di esserci, c’è bisogno di una coscienza civile capace di leggere la realtà e arrivare alle conclusioni anche solo rispetto a ciò che già si sa, che è già è visibile a tutti». Ed è qui che entra in gioco il ruolo del giornalista, chiamato a verificare le fonti, andando oltre la propaganda che controlla anche internet e tutto ciò che circola in rete. Durante l’incontro è stato proiettato un estratto da un documentario girato da Nicastro in Cisgiordania. Le immagini, diffuse sui social, mostrano le violenze dei coloni israeliani contro le comunità palestinesi. «Io non ero presente – ha spiegato – ma ho verificato tutto: luoghi, dinamiche, fonti. È un lavoro che si può fare anche senza essere fisicamente lì».
Un lavoro che, seppur in modo diverso, fa anche Dalia Ismail, giovane giornalista e attivista madrelingua araba con familiari in Palestina, che ha portato la prospettiva di chi vive e racconta il conflitto attraverso fonti dirette e social media attraverso la sua pagina instagram “Dalia dalla Palestina”: «Sono attivista da quando ero bambina – ha spiegato –. La mia lingua madre è l’arabo e ho accesso a media locali e parenti sul posto. All’inizio del conflitto abbiamo dovuto smontare notizia dopo notizia perché l’informazione italiana mainstream era piena di storture, il linguaggio era fuorviante e la disinformazione, dominante . Abbiamo lavorato con giornalisti indipendenti per ricostruire la verità. Non è vero che non abbiamo informazioni su Gaza: i giornalisti ci sono, sono palestinesi e sono competenti. Il problema è che non vengono riconosciuti come tali. Il nostro compito, qui in Occidente, è amplificare le loro voci».
L’obiettivo è sempre quello di informare, anche se per Ismail, «oggi il compito non è convincere chi difende Israele, ma parlare alle persone comuni, far capire, con linguaggio semplice, da che parte bisogna stare». Mentre per Nicastro, il ruolo del giornalista resta quello di offrire una pluralità di informazioni: «L’informazione non deve dire alle persone cosa pensare, ma dare loro igli strumenti per farsi un’idea. Il pluralismo è ciò che ancora ci distingue da regimi e propaganda». Due punti di vista diversi, portati da due generazioni diverse, che hanno permesso di arricchire il dibattito su cosa significhi esercitare la libertà di stampa dove questa libertà è costantemente messa sotto attacco.
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